Questa newsletter comincia necessariamente con delle scuse: doveva arrivarti sabato, arriva invece oggi. Mi dispiace! Ho avuto degli imprevisti di salute: nulla che le medicine non possano curare, ma anche un motivo per valutare di rallentare. Mi dispiace che a rimetterci ci sia stata proprio questa newsletter, a cui tengo moltissimo, ma capita. Non tutto è sempre sotto il nostro controllo.
Questo è vero anche in positivo, naturalmente. L’imprevisto dello scorso venerdì, infatti, ha involontariamente cambiato anche l’argomento e la struttura stessa di questa newsletter. Ho deciso di tralasciare questa storia e questa riflessione (seppur molto interessanti) che erano il piano originario, per rivolgere a te e a tutte le persone che leggono questa newsletter una domanda che è stata rivolta a me durante un delizioso incontro avvenuto proprio venerdì a Casarza Ligure dove ero ospite della rassegna SpritzZiamo Cultura: qual è il pregiudizio più diffuso sugli Stati Uniti?
Eccezionalmente, apro i commenti della newsletter per permetterti di rispondere. E, anzi, ti invito calorosamente a farlo: dall’esperienza del mio canale Telegram, vedo che il dibattito nella mia community gode di grande partecipazione e rispetto. Almeno per ora. Perché non provare a portarlo anche qui, una volta ogni tanto? Questa potrebbe essere una prima, interessante occasione, sai che mi piace sperimentare: potresti rispondermi subito oppure pensarci durante le vacanze e poi tornare qui per condividere con me e le altre persone il tuo pensiero. Come preferisci.
Intanto qui ti scrivo il mio, che è anche la risposta che ho dato a Debora Lambruschini quando me l’ha chiesto. Credo che ci siano due sovrastrutture principali, che portano poi alla creazione non di un solo pregiudizio, ma di molti: da un lato noi, persone europee e soprattutto italiane, tendiamo a sentirci superiori agli Americani in virtù della nostra cultura e della nostra storia. Come se fossero la cultura e la storia tout court: universali, valide per tutto il mondo, inamovibili. Facciamo molta fatica a pensare che la nostra sia solo una cultura, una storia e che anche un paese come gli Stati Uniti possa avere tradizioni, narrazioni, modelli e dinamiche di pari valore. Ed è un paradosso, se ci pensi: tutto quello che ci circonda e che oggi definisce in modo sostanzioso la nostra cultura - dai film più discussi al cinema alla piattaforma su cui ti sto scrivendo, dalla tecnologia che hai tra le mani alla politica estera - proviene da lì.
Dall’altro lato, non c’è cosa più sbagliata che pensare all’America come a un posto prevedibile. E noi lo facciamo di continuo. Appiattiamo su un unico livello tutte le contraddizioni, le molteplicità e le varietà di una società così articolata e complessa come quella americana, e diamo dei giudizi (qualsiasi giudizio: “il posto delle mille possibilità”, “un paese abietto”, “gente ignorante”, “guerrafondai”, “i più avanzati del mondo” e via così) sulla base di quell’unica linea che abbiamo deliberatamente deciso di considerare rappresentativa. Questo, spesso, ci porta a compiere degli errori madornali. E succede anche a chi pensa di conoscerla, l’America, e poi si ritrova a scriverne i ritratti peggiori pur avendo le intenzioni migliori: ti ripropongo qui una delle rarissime volte in cui mi sono lasciata andare a una polemica social. Credo renda l’idea di ciò che voglio dire.
Non voglio alzare nuovamente il polverone Saviano né concentrarmi su cose vecchie: vorrei che questa, però, fosse la volta in cui facciamo il punto a tre anni di distanza da quel post e a uno dalle nuove elezioni presidenziali.
Che ne dici?
Grazie per avermi letta fin qui e per il tuo eventuale commento: li leggerò tutti (e spero anche di poter rispondere). Noi ci sentiamo ufficialmente a settembre, ma non perderti le novità qui sotto: ce n’è di grosse!
Grandi novità
Come immagino tu sappia già, la mia socia di membership - Valeria Sesia - aspetta un bimbo. In questi mesi, quindi, non sarà più lei a scrivere la celebre newsletter Mac&Cheese dedicata alla pop culture e ai luoghi comuni americani, ma al suo posto ci saranno voci amiche ed esperte che, con le loro storie originali, sapranno offrire alle persone abbonate nuove occasioni di esplorazione e intrattenimento.
Ha cominciato Clara Ramazzotti lo scorso 16 luglio con un viaggio trascinante nel bello del brutto, una riflessione sull’estetica di alcuni luoghi americani che, proprio in virtù delle loro fattezze (brutte) di oca o di scatola o di banale paese di provincia, ci invitano a un tipo diverso di osservazione.
Il 20 agosto sarà il turno di Chiara Beretta, che - piccola anteprima - ci farà viaggiare tra i luoghi reali di Oppenheimer, seguendo una mappa che, tra storia e finzione, ci farà scoprire un’America molto obliqua e a tratti oscura.
Il 17 settembre sarà invece la volta di Francesco Costa: non conosciamo ancora il tema del suo pezzo, ma il ragazzo ha un buon curriculum, ci fidiamo ;)
Io fossi in Valeria mi arrabbierei moltissimo sapendo che ci sono persone che si iscrivono alla membership quando io vado in maternità, ma lei è molto più matura di me e quindi insieme ti invitiamo a salire a bordo, questa è un’ottima occasione: puoi farlo da qui, recuperando anche tutti i contenuti precedenti! Come ad esempio tutti gli appuntamenti di LIT - il bookclub della McMusa e questo episodio di Miglia, che ha destato tante reazioni di stupore e partecipazione: è una storia assurda (e dolorosa) ma molto, molto americana.
Infine: ad agosto la newsletter andrà in vacanza. Io sarò negli Stati Uniti con due gruppi di Book Riders, prima nella CaliforNoir e poi nel Rockin’ Jersey. Se ti va, potrai seguirci su Instagram e anche su Telegram, dove c’è sempre tanta vivacità.
Ma! A sorpresa nei primi giorni di agosto arriverà un’edizione straordinaria di Sogni Americani: devo comunicarti una cosa in effetti straordinaria. Tienimi d’occhio, quindi! Sono sicura che ti piacerà e non vorrai perderla.
Per il resto non mi resta che dirti grazie e augurarti buona estate ☀️
Ciao Marta, grazie per questa nuova modalità di discussione e per avere lanciato una riflessione su un tema, al contempo, così vasto e così vicino ai nostri interessi.
Il pregiudizio nei confronti degli Usa ha molte sfaccettature nel nostro paese, in positivo e, soprattutto, in negativo e coinvolge aree di pensiero politico e religioso diversissime (quelle ostili soprattutto la sinistra marxista, la destra nostalgica del fascio, i cattolici vicini ad entrambi).
Io stesso, lo riconosco, nella mia vita ho avvertito spinte emotive in entrambe le direzioni.
Per citare il pregiudizio forse non più diffuso, ma certamente molto fastidioso, vorrei citare una parola, stupida e priva di senso concreto, che tutte e tutti voi avrete sentito : le "americanate".
Che dagli Usa vengano le americanate (qualsiasi esse siano, il surf, il rodeo, il wrestling, le feste country o i raduni dei pastafariani), cioè la loro impossibilità di organizzare eventi o movimenti "seri" è un pregiudizio molto forte.
Io, italiano di nascita, Americano per scelta e per affinità, ho sempre in passato combattuto gli stereotipi che gli europei hanno sull'America e gli americani. Per la verità ho smesso da un po'. Mi sono reso conto che l'ignoranza europea ed Italiana nei confronti dell'America è troppo grande per poter essere corretta, per di più alimentata da una copertura mediatica demonizzante. Racchiudere un paese così grande e complesso in poche righe o in qualche libro non è possibile. Non è neanche possibile spiegarlo e capirlo se non si è vissuti lì a lungo ed in profondità. Il che significa entrare nella loro cultura a fondo, diventando parte della loro comunità piuttosto che raccontarli con gli occhi di osservatore. Io l'ho fatto, e quando lo fai capisci che non ha senso combattere gli stereotipi. Quando sento dire che l'America non è NY mi scappa da ridere. l'America è assolutamente NY, perché è lì nasce il grosso dell'avanguardia e della cultura che condiziona il resto del mondo. l'America è NY perché a NY c'è il contatto tra culture così diverse, che poi generano le scintille della nuova america. l'America è tante cose. l'America sono le sue incredibili università, tempi del sapere e della libertà di pensiero, ambito che conosco bene avendo svolto la mia carriera accademica negli Usa. l'America è la California, il Massachusetts, il New Jersey. l'America è educazione, educazione alla natura, alla terra, alla tolleranza. America è anche la grettezza di alcuni gruppi culturali/sociali, ma questi non ne sono il motore. l'America va avanti nonostante queste realtà. Il motore dell'America è l'entusiasmo, la fiducia nel potere del fare, l'uomo al centro di tutto. Gli stereotipi sono figli in parte dell'ignoranza, in parte c'è un po' di invidia, ma anche molto di una copertura mediatica piena di bias e fondamentalmente strumentale. Ho sempre avuto l'impressione che l'America sia demonizzata dai media, non solo per motivi politici, ma anche per far sentire le persone meglio, come se dipingere l'America come un postaccio ci dia l'illusione di vivere in un paese non così poi male. Se gli italiani sapessero davvero com'è l'America e cosa significa vivere li, si deprimerebbero ancora di più.