Qualche giorno fa ho fatto un sondaggio sul mio canale Telegram. Chiedevo: chi di voi sa chi è Jill Stein? Ha risposto un campione di 334 persone: il 13% in modo affermativo, il 16% confermando di conoscere il suo nome ma di non sapere cosa fa, il 71% dicendo di non averla mai sentita nominare.
Jill Stein è la terza persona candidata oggi alla presidenza degli Stati Uniti.
Non è l’unica a comparire sulla scheda elettorale insieme a Trump e Harris (ci sono altri candidati indipendenti, il numero varia da Stato a Stato), ma è quella che attualmente potrebbe pesare di più sull’esito finale del voto. Il fatto che molte persone non l’abbiano mai sentita nominare, soprattutto in Italia, non è quindi una buona notizia. Non lo sarebbe in ogni caso, a dire il vero: metterla in ombra o sminuirla è abbastanza coerente al modo in cui il mondo dell’informazione mainstream tratta il tema della Palestina, del genocidio e soprattutto delle persone che ne sono coinvolte.
Jill Stein, originaria dell’Illinois ma residente in Massachusetts, medica e attivista di 74 anni, è rappresentate del Green Party, il partito dei Verdi, e nel suo programma elettorale esprime con decisione una posizione contraria all’appoggio e all’invio di armi a Israele. Tra le persone candidate oggi alla presidenza è l’unica a condannare il coinvolgimento degli Stati Uniti nel massacro di Gaza e a dargli un peso prioritario nel suo programma politico. Seguito a ruota da un piano a tutela dell’ambiente, delle minoranze e dei lavoratori.
Jill Stein, in altre parole, rappresenta la sinistra al di là della collocazione sempre più al centro del Partito Democratico, ma - ancora di più, e infatti sta qui il problema - rappresenta un punto di riferimento capace di accogliere la frustrazione, il dolore e la rabbia di una buona parte dell’elettorato arabo-americano nonché il desiderio di sentirsi rappresentate di molte persone che sono stufe o contrarie a votare ancora una volta per la meno peggio (Harris).
Per una parte molto minoritaria ma non esigua di elettorato americano, dunque, il genocidio palestinese in atto, sostenuto e finanziato dall’amministrazione Biden-Harris, ha un peso. Diventa persino quell’unica cosa per la quale si sceglie di non scendere a compromessi e di votare secondo coscienza. Perfettamente consapevoli delle conseguenze: i voti a Stein sono voti tolti a Harris e dunque possibilità date a Trump di vincere.
Non posso votare una candidata che promette di uccidere più Arabi. Ogni singolo giorno vediamo persone normali - bambini, genitori - con i loro volti fatti saltare in aria. Vediamo queste cose accadere davanti ai nostri occhi. È doloroso da guardare giorno dopo giorno. Ed è doloroso vedere persone che liquidano così superficialmente le vite degli Arabi come se noi non contassimo. È un compito impossibile da chiedermi quello di votare per qualcuno che sta attivamente contribuendo a un genocidio di persone come me, che colpisce direttamente amici e familiari. Non lo farò.
Sonia
La critica più forte che si fa a Stein e a chi decide di sostenerla, infatti, è quella di favorire l’elezione del candidato più contrario - almeno in linea teorica - alla causa palestinese (Trump). Non mancano critiche, tuttavia, neanche al suo presentarsi ogni quattro anni a rovinare la piazza (nel 2016 fu molto contestata per aver tolto voti a Hillary Clinton, accusa che fu poi ridimensionata) né alla sua platform costruita a puntino sulle presunte mancanze di Harris. Mentre scrivo anche i Verdi Europei hanno chiesto a Jill Stein di ritirarsi dalla corsa e di dare il proprio appoggio a Harris contro Trump.
La posta in gioco in queste elezioni è molto alta. So che il primo pensiero che hai avuto quando hai letto questa frase è stato - appunto - Trump, la sua deriva autocratica, il pericolo che rappresenta per i diritti civili e l’equilibro internazionale, le sue affermazioni antidemocratiche. Noi tendiamo a voler proteggere i nostri privilegi e a farci paura è chi ce li vuole togliere, a maggior ragione usando caos e potere violento. Per moltissime altre persone, tuttavia, quella linea è già stata sorpassata, dalla parte politica che - oltretutto - ora promette e sostiene di volerle difendere (è questa ipocrisia attiva che viene chiamata gaslighting, lanciare messaggi eticamente positivi per poi agire nel concreto nella direzione opposta).
Oggi alcuni sondaggi danno Stein al 2%, altri all’1%. Pochissimo, ma abbastanza da impensierire i Democratici, che infatti in queste settimane hanno lanciato diversi spot televisivi contro di lei. La notte del 5 novembre i suoi saranno i numeri, però, che seguirò con maggiore curiosità (sempre che resti in corsa): in Stati come il Michigan o la Pennsylvania potrebbero davvero fare la differenza e, in generale, su scala nazionale potrebbero dare qualche debole segnale di un Paese che prende coscienza ed eventualmente dà forza a un’alternativa. Con tutto quello che ne consegue.
"Questa campagna riguarda l'identificazione della voce che abbiamo. Sono una palestinese-americana che ha vissuto in Pennsylvania per tutta la vita. Ho votato democratico a ogni elezione fino a oggi, quando molti di noi si sono guardati intorno e hanno capito che questa è la voce che abbiamo in questo momento. Sappiamo che un'altra presidenza Trump sarebbe disastrosa. Ma non riesco a convincermi ad andare alle urne e a votare per una candidata che è responsabile della morte di membri della mia famiglia e che è stata chiara nel voler continuare a sostenere questo genocidio".
Abuelhaj
Le due frasi che ho inserito in questa newsletter sono state tratte da un recente articolo uscito su Slate: se ti va di leggerlo, trovi altre testimonianze che possono avvicinare il sentimento di queste persone al nostro. Uno dei privilegi che abbiamo in Italia, infatti, è quello di non dover votare in questa elezione difficilissima (anche se molta, troppa gente parla delle elezioni americane come se a votare fossimo noi, ok): usiamola, questa posizione privilegiata, per ascoltare chi spesso è messo a tacere o è trattato con fare paternalistico. Oltre che per ragionare su questioni che là sono giganti ed estreme ma hanno riverberi che, sì, ci coinvolgono eccome, chiamando per prima cosa in causa i nostri principi.
Mentre ti ringrazio per avermi seguita fin qui, ti offro uno strumento con cui procedere e andare avanti: l’interessante chiacchierata tra due nostre connazionali che vivono in Colorado e hanno posizioni diverse. Si chiamano Enrica ed Elide e Americanate è il loro podcast appena nato e già di livello.
Ovviamente non finisce qui…
Per 30 giorni la membership della McMusa è open!
Esatto! Io e la mia socia Valeria abbiamo pensato di rendere fruibili i contenuti in abbonamento per un periodo di prova di 30 giorni, riservato ai nuovi abbonati e alle nuove abbonate (non a chi ha già aderito in passato e poi disdetto, purtroppo, o a chi è già iscritto ma vuole fare un upgrade).
Ovviamente questo periodo di prova non cade in un momento qualsiasi: le elezioni di novembre sono un riflettore e al tempo stesso un terremoto per gli Stati Uniti, i nostri contenuti in abbonamento possono offrirti sguardi e approfondimenti inediti (non li trovi altrove), utili, originali e verticali.
Te ne indico alcuni, utilissimi come punto di partenza per entrare nei contesti più decisivi del voto (i cosiddetti swing states, ma non solo):
Gwinnett, Georgia (podcast Miglia): la contea da tenere d’occhio per capire se il Peach State quest’anno sarà rosso o blu;
Empire, Nevada (podcast Miglia): in posti così deserti e remoti conta decisamente più l’industria che la politica;
Milwaukee, Wisconsin (podcast Miglia, episodio che personalmente amo molto): sorpresa delle sorprese, in questa città si è fatta la storia del socialismo… e oggi Trump va piuttosto forte;
Philadelphia, Pennsylvania (bookclub LIT): razzismo “perbene” e ipocrisia progressista, due facce della stessa società nel libro di Kiley Reid, L’inganno delle buone azioni;
Appalachi (bookclub LIT): la crisi degli oppioidi e quella di chi si sente dimenticato da tutti nel libro di Barbara Kingsolver, Demon Copperhead;
dal mondo della pop culture, quindi dalla newsletter Mac&Cheese, il modello di comunicazione di Taylor Swift e quello della National Public Radio, due volti di una sinistra che in realtà di volto dovrebbe averne uno solo.
Dal Michigan e precisamente dalla ruvida Detroit arriverà la puntata di novembre di Miglia (ci sono appena stata e mi ha entusiasmata), mentre sono ancora attuali i primi due appuntamenti della rassegna dedicata alle elezioni CAREFUL, IT’S HOT, disponibile come bonus per tutti e tre i piani in abbonamento. Ne seguirà un terzo, ma te ne parlo tra un attimo!
Se vuoi approfittare di questo mese gratis puoi farlo da qui! Spero che il progetto ti piaccia e che tu possa poi considerare di restare e sostenere un modello di giornalismo indipendente, di carattere e dinamico. (Pop lo dicevamo before it was cool ;))
Appuntamenti da oggi alla notte elettorale
Allora, dicevo:
domenica 3 novembre alle ore 19 ci sarà il terzo appuntamento della rassegna CAREFUL, IT’S HOT per le persone abbonate o in prova: faremo il punto della situazione a due giorni dal voto;
domenica si potrà anche ascoltare la puntata speciale di Scanner, il podcast di Valerio Nicolosi su Storytel, dedicata alle elezioni americane con un intervento mio e di altri esperti;
lunedì 4 novembre alle 19 sarò ai Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia per parlare di America insieme agli amici di Digital Freaks (ingresso libero).
La notte del 5:
se sei tra gli ospiti della tradizionale serata di accompagnamento alle elezioni organizzata dall’Ambasciata americana a Roma, mi troverai intorno alle 23 per un breve talk sugli Stati in bilico e alcune loro storie significative;
tieni d’occhio Instagram perché quando lo spoglio comincerà a scaldarsi io e Luciana Grosso ci collegheremo per una diretta insieme;
dalle 3.30 del mattino sarò infine (si fa per dire) negli studi di Rainews24 per seguire e commentare l’andamento dei risultati.
Allora ti aspetto e ancora grazie. Ci risentiamo comunque qui tra due settimane. Ciao e buone elezioni!