Abbiamo incontrato Lance Cheslock in una via di Alamosa, un piccolo paesino della San Luis Valley, nel sud del Colorado, al centro di una delle zone di wilderness - natura selvaggia ancora piuttosto incontaminata - più vaste degli Stati Uniti: 46 mila abitanti per una superficie di 21 mila chilometri quadrati. 196 chilometri di lunghezza per 119 di larghezza. Altitudine: circa 2300 metri sul livello del mare. Che all’occhio appaiono però come una piana immensa - immensa come l’oceano - che difficilmente assoceresti a una tale altezza. È un deserto di steppa, infatti, lambito da un’altissima catena montuosa ai margini a Est e discendente verso il New Mexico a Sud.
Lance vive ad Alamosa da più di 30 anni. Io e i Book Riders quel giorno non stavamo cercando lui, ma La Puente, l’organizzazione di cui è direttore, che si occupa di chi in quel deserto immenso e inospitale, dove non esistono collegamenti elettrici o idrici, strade asfaltate e persino mappe, ci vive.
Avevamo da poco fatto colazione al Milagros Coffee House e lì avevamo notato dettagli che negli Stati Uniti si vedono poche volte, e solo in zone particolari: banco alimentare, orari della mensa gratuita, indicazioni delle riunioni, programmi di mutuo soccorso, esposizione di prodotti caseari e merchandising in vendita per raccolta fondi, insomma associazionismo di tipo benefico e solidale. Alcune persone prendevano il caffè come noi, altre usavano il bagno per lavarsi, altre lavoravano al loro computer come spesso accade nelle caffetterie americane, altre ancora semplicemente stavano lì. Il Milagros Coffee House è al centro di Alamosa, collabora con La Puente e da lì la sede dell’associazione dista solo qualche isolato. È stato in uno di questi che Lance ci ha visto passare e ci ha fermato: tenevo tra le mani il libro che ci aveva portato lì e che lui, solo pochi anni fa, contribuì a rendere possibile, Cheap Land Colorado del giornalista Ted Conover. Un reportage che ha come sottotitolo “Bellezza e squallore ai margini d’America”. E che lui ha subito riconosciuto.
La bellezza di quella pianura è sconvolgente, soprattutto di notte, dove le stelle si vedono con una chiarezza pura, non contaminata da niente, calda e gelida insieme. Le foto della milky way sono state le prime cose che Lance ci ha mostrato dal suo cellulare dopo aver iniziato a chiacchierare con noi, le aveva “rubate” nei pressi di casa di Ted Conover qualche notte prima, durante uno dei suoi giri. L’avevamo notata anche noi, quella bellezza naturale fatta di arbusti, vento, luce, profili e cielo sconfinato, arrivando nella San Luis Valley il pomeriggio precedente, non senza però percepire con maggiore intensità lo squallore, una presenza sinistra di qualcosa che non dovrebbe essere lì: la povertà.
Ed è parlando proprio della povertà che Lance ha donato a noi per una buona mezz’ora la stessa generosità che dona quotidianamente alle persone di cui si prende cura attraverso il suo lavoro: circa il 21% dei 46 mila abitanti della San Luis Valley, infatti, vive sotto la soglia della povertà. La maggior parte risiede nella piana a Nord di Alamosa, anche se il termine “risiedere” non si adatta per niente bene alle loro condizioni di vita: molte persone e molte famiglie abitano in roulotte e baracche, alcune dispongono di fossa settica e pozzo, molte no. Almeno 200 di queste abitazioni non hanno il riscaldamento. Tutte hanno un recinto, però: quella, almeno, è la loro proprietà. Sapevamo di cosa Lance stava parlando, l’avevamo letto sul libro di Conover giusto qualche ora prima.
Non è difficile vedere una linea sottile che unisce i pionieri del Diciannovesimo secolo alle persone che si stabiliscono in queste terre al giorno d'oggi. La terra non è più di tutti, ma resta la più economica degli Stati Uniti. Sotto molti aspetti si può ancora abitare questo vasto e desolato territorio come un tempo i pionieri hanno abitato le Grandi Pianure, solo spostandosi a bordo di un pick-up anziché di un carro trainato da un mulo, e disponendo di qualche pannello solare, e magari di un debole segnale telefonico. E di marijuana legale. Vendendo o barattando erba, o trovando qualche lavoretto stagionale, si può addirittura sopravvivere senza uno stipendio fisso, anche se in tal caso la situazione si fa rischiosa, in particolare al sopraggiungere dell'inverno. Allora diventa molto dura vivere di ciò che offre la terra, specie in piena prateria.
Dopo aver trascorso l’intero viaggio in Colorado fino a quel momento a parlare del concetto di frontiera e a definire il mito tutto americano del West, sentire Lance definire le persone residenti nella piana pioneers mi ha fatto un certo effetto. Le ha chiamate però anche urban refugees, perché la maggior parte di loro è - ci ha tenuto a dirci - sia vittima che - “if you flip the page” - vincitrice: sono sì entrate nel mondo della povertà e vivono in condizioni miserabili (oltre che estreme), ma sono riuscite comunque a possedere un piccolo fazzoletto di terra, ad avere qualcosa di proprio, a realizzare una briciola di quello che questa società così feroce e selettiva chiama ancora “sogno americano”. Una briciola di cui vanno tutti e tutte molto fieri. Anzi, come ha detto Lance, “a piece of the rock”.
Come le decine di migliaia di homeless nelle grandi città, anche le persone povere che vivono nel deserto di Alamosa - di cui Ted Conover nel suo libro tutt’altro che desertico ma anzi pieno zeppo di umanità e storie ha raccontato moltissimo - non hanno vita facile: il resto della popolazione fa finta di non vederle, ci racconta Lance. Oppure per accettarle e, magari, decidere di aiutarle ci mette moltissimo tempo, ha bisogno di essere a sua volta aiutata. La sua organizzazione fa anche questo, cercando di creare rete e contatti, oltre che offrendo un tetto a chi lo desidera (al momento nello shelter di Alamosa ci sono 40 persone, ma d’inverno con le temperature rigidissime della pianura aumentano).
La società americana nutre un profondissimo stigma verso la povertà, continua Lance: incolpa le vittime di esserlo, non il sistema di creare disuguaglianza. “Avete presente la storia della lattuga? Se tu semini della lattuga e alcuni ciuffi marciscono o sono cattivi, tu non incolpi la lattuga. Cerchi altre cause nel terreno, nel clima, nei fattori esterni. Con le persone povere no, incolpi loro per non aver fatto abbastanza.”
Eppure, continua ancora Lance, sono proprio i margini che offrono alla società il miglior modo per conoscere se stessa. Non dobbiamo guardare a chi sta nel mezzo della scala sociale o nelle nostre vicinanze, bensì a chi per scelta o per necessità sta ai margini, gli esclusi, i reietti, i poveri appunto (mi viene in mente Nelson Algren, che li chiamava “i disarcionati”, avevo parlato di loro qualche newsletter fa). È grazie a loro che una società - e ovviamente tutti e tutte noi che ne facciamo parte - può capire di più su chi è, su come si comporta, su quali valori coltiva o subisce.
Mentre parliamo sul marciapiede, Alamosa è invasa da una luce bellissima e dietro di noi la villetta di qualcuno è già addobbata a festa per Halloween: c’è persino lo scheletro di un cane a passeggio. Ted Conover è sulla strada per raggiungere Lance quel giorno stesso, nonché la piccola casa traballante che anche lui ha comprato nella pianura mentre scriveva il libro, quella delle stelle. Noi non riusciremo a salutarlo, dobbiamo andare, ma racconteremo la sua storia e quella di Lance, la storia degli ultimi pionieri della frontiera del Colorado, a chiunque voglia ascoltarci.
E infatti eccoci qua.
Io non sapevo che esistesse un posto così. Combinava la bellezza altera del cosiddetto Mountain West e il fascino della frontiera con la dura realtà di chi non ha neanche gli occhi per piangere.
Grazie per avermi letta o ascoltata fin qui. Grazie alle e ai Book Riders che hanno condiviso questa esperienza con me (e mi hanno regalato le fotografie di questo reportage) e grazie a Sara Reggiani che ha tradotto e soprattutto portato questo libro in Italia nella strepitosa collana This Land di Edizioni Black Coffee. Non finisce qui, però.
Ancora!
Come scrivevo poco sopra, Cheap Land Colorado è un libro-mondo pieno di storie diverse e non sempre “agguantabile” da noi lettori o lettrici italiane: ci sono paesaggi, dimensioni, dinamiche sociali che facciamo davvero fatica a rapportare alla nostra esperienza. Ecco perché l’ho scelto come lettura per LIT, il bookclub della McMusa, qualche mese fa: se ti va di approfondire, trovi la registrazione sia video che audio qui. Prima di realizzare il libro, Conover ha scritto un pezzo per Harper’s intitolato proprio The Last Frontier.
Se La Puente ha destato la tua curiosità, questo è il sito dell’organizzazione e qui c’è eventualmente la pagina per le donazioni (vivono di quello).
Ovviamente anche la newsletter States è stata in Colorado, qui c’è la tappa dedicata al Centennial State. Domani io e Luciana arriviamo in Virginia e a quel punto ci resteranno solo 4 Stati per concludere il nostro viaggio!
Il prossimo appuntamento del bookclub, invece, sarà con L’inganno delle buone azioni (link affiliato), il romanzo di Kiley Reid che ci porta in Pennsylvania, forse lo Stato in bilico più decisivo per le prossime (ormai vicinissime) elezioni. Se vuoi unirti a noi, puoi farlo in ogni momento dalla homepage della membership, da cui puoi farti un’idea anche di tutti gli altri argomenti. È un bel colpo d’occhio sull’America di oggi.
Continuerò infine a parlare del Colorado nella prossima puntata di Miglia di ottobre, che - molto onestamente - non vedo l’ora di realizzare: andremo nel posto dove il tour dei Book Riders si carica sempre, improvvisamente, di una certa magia. Intanto puoi ascoltarti questa:
Sul canale Telegram trovi infine un po’ di notizie e immagini dal viaggio: ne arriveranno altre dal Pacific Northwest dove sto per andare con un nuovo gruppo, così come su Instagram.
Grazie, ci sentiamo tra due sabati sempre dagli Stati Uniti. Ciao!
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