Dall’ultima volta in cui sono stata negli Stati Uniti, nell’autunno del 2024, il mondo è cambiato. Negli equilibri, nelle alleanze, nel senso della democrazia, nella percezione stessa del viaggio dall’Europa all’America. Tanto da provare - per la prima volta nella storia dei miei numerosi spostamenti da un lato all’altro dell’oceano - preoccupazione per quello che mi poteva aspettare al controllo passaporti (che alla fine, comunque, è andato come doveva andare: liscissimo).
Ho appena trascorso quattro giorni a Houston e da un altro paio di giorni mi trovo a Austin con un gruppo di Book Riders. È davvero troppo poco tempo per avere la misura di cosa realmente sia cambiato nella vita delle persone che vivono da queste parti; è stato abbastanza, tuttavia, per cominciare a raccogliere qualche impressione sui nuovi sentimenti che circolano tra di loro: negli argomenti delle conversazioni, nelle mezze battute fatte a tavola, nelle domande che mi veniva da porre loro e nelle parole che comparivano nelle risposte per la prima volta da sempre.
Ovvero: timore di esporsi pubblicamente, paura per il proprio business, incertezza sulla possibilità di poter esercitare la propria professione in un futuro molto vicino, esasperazione, paura di vedere i propri visti revocati e i propri risparmi consumati, rammarico per il ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto finora nel panorama mondiale e non avranno più. Si sono nominate la parola censura e la parola deportazione una quantità di volte impensabile anche solo 4 mesi fa.
Partiamo da qui, dal fatto che da un secolo buono, se non di più, l’America è stata intesa dal resto del mondo e dai suoi stessi cittadini come la terra delle mille possibilità. Non è solo una frase fatta: si veniva qui, soprattutto dall’Europa e dall’Asia, per fare, sperimentare, intraprendere esperienze che nel proprio Paese di origine non si potevano fare.
Dentro gli ospedali di Houston
Nel 1969 a Houston tirava un’aria piuttosto frizzantina. Immagina: a luglio la NASA avrebbe lanciato per la prima volta 3 uomini sulla luna e qualche mese prima, ad appena una decina di miglia più a nord, un cardiochirurgo avrebbe impiantato il primo cuore artificiale nel petto di un uomo. Dando così origine a una leggendaria faida tra chirurghi durata …
In primis, la ricerca, la scienza, la creazione di nuove imprese, ma anche la creazione del futuro stesso (come avevo raccontato nel reportage qui sopra solo due anni fa). Al netto di tutte le storture del sistema sociale ed economico di questo Paese, fino a pochissimo tempo fa era l’America il punto di riferimento per i cosiddetti cervelli in fuga, per la sperimentazione tecnologica e scientifica che trainava il mondo, per la ricerca nel senso fattivo del termine (pensa ai vaccini, ad esempio, alla ricerca medica in generale). Quella che in Italia purtroppo ci sogniamo nonché quella che in queste ultime settimane è stata presa di mira da Trump, come priorità: tagli ai fondi erogati dal governo, controllo dei programmi di insegnamento, scrutinio del personale assunto e quello da assumere, revisione dei dipartimenti. Con conseguenze epocali, che iniziano a vedersi già ora: l’Unione Europea, ad esempio, sta preparando un piano di “accoglienza” per i cervelli in fuga questa volta dagli Stati Uniti. L’accademia americana perde dunque possibilità economiche, ma soprattutto credibilità, libertà, indipendenza e attrattiva. Cose che sarà difficile riconquistare in poco tempo.
Anche se Harvard ai ricatti di Trump ha detto no. Un no che oggi risuona in modo altisonante e potente, è il primo di una certa importanza. E magari qualche altra grande università le farà seguito.
A proposito di attrattiva, una domanda è stata posta anche a me mentre ero a Houston, in un’intervista per un giornale italiano: è possibile che si guardi con meno interesse agli Stati Uniti, in generale? Che in altre parole si potrebbe tradurre: questo momento storico sta avendo conseguenze di “percezione” prima ancora che di fatti sul modo in cui guardiamo oggi all’America? Ovviamente sì, è la mia risposta. Sia come partner commerciale, visti i dazi, che come meta turistica che - soprattutto - come baluardo dei valori democratici che dovrebbero caratterizzare l’Occidente. In questa newsletter abbiamo ragionato tante volte sul potere della storia che gli Stati Uniti narravano di sé al mondo: oggi questa storia è profondamente cambiata. E a trarne vantaggio saranno altre storie di altri Paesi, questo è certo.



E quali sono - se ci sono - gli ideali dell’America in cui ancora credi, che ancora ami? Quest’altra domanda mi è stata rivolta da Loretta Bersani a mio fianco durante la presentazione del mio libro a Houston, un momento bellissimo che mi ricorderò per sempre. La mia risposta è stata facile, è un tema questo su cui mi arrovello da diverso tempo, non solo recentemente: dell’America amo ancora il suo essere un esperimento, amo e rispetto il fatto che qui si intende il futuro come una cosa da poter decidere con le idee e modellare con i fatti, credo nel suo essere ancora - come fu in origine - il territorio dell’entusiasmo, dell’innovazione, del cambiamento (e in questo Austin è un esempio quasi accecante). Le sensazioni che si provano qui non si provano da nessun’altra parte del mondo, anche e soprattutto nei loro estremi. E se è vero che probabilmente la fiamma che le alimenta si sta pericolosamente assottigliando, staremo a vedere se arriverà a spegnersi del tutto o se solo si assopirà per riaccendersi nel futuro.
Appunto.
La membership compie 4 anni ed è free!
Una decina di giorni fa io e la mia socia Valeria Sesia abbiamo mandato questo messaggio alle persone iscritte alla membership della McMusa:
Oggi viviamo un momento complesso: stiamo osservando il mondo cambiare davanti ai nostri occhi. Gli Stati Uniti – il Paese che abbiamo sempre amato esplorare insieme – stanno ridisegnando in modo irreversibile il loro ruolo globale. C’è stanchezza, smarrimento, paura, incredulità. Lo sentiamo in tante e tanti. Io stessa lo vivo ogni giorno nel mio lavoro. Non lo nascondo: molte volte, negli ultimi tempi, mi sono chiesta il senso di questo lavoro, mi sono interrogata sulla direzione da intraprendere. Ho scelto di “rimanere” negli Stati Uniti, di continuare a prediligere storie che vengono raccontate poco ma di farlo includendo anche altri Paesi.
Mai come ora è importante continuare a farci domande, guardare il mondo da più prospettive e mettere in relazione diverse narrazioni. È l’unica soluzione di metodo che vedo possibile, al fine di avere una visione più completa e inclusiva del presente, e soprattutto dei suoi confini e delle sue relazioni di forza.
Una cosa non molto diversa da quella che ho scritto anche qui su Sogni Americani, nella scorsa newsletter. E che è stata subito seguita dalla puntata del podcast Miglia su un’opera straordinaria che lega il Messico marxista alla Detroit capitale della produzione capitalista degli anni Trenta del Novecento.
Ma la novità che voglio dirti oggi è che tutti i contenuti della membership sono gratis per una prova di 30 giorni, se vuoi vedere di cosa si tratta e magari valutare di salire a bordo!
L’informazione indipendente è essenziale per offrire uno sguardo lucido, ampio, che non ha paura di fare delle scelte: i tre piani in abbonamento si propongono come uno spazio unico di informazione e confronto che arricchisce il nostro sguardo su ciò che accade nel mondo, partendo dagli Stati Uniti ma non limitandoci al loro territorio.
Se deciderai di unirti alle tante persone già iscritte, a giugno avrai un coupon di sconto per acquistare musica, libri, film (non da Amazon). Tutte le altre info le trovi qui.
Ah, a fine mese il bookclub LIT si riunirà per leggere insieme il libro di aprile che è La foresta del Nord (link affiliato a Ibs) di Daniel Mason, senz’altro un romanzo molto diverso dal solito!
Dal Texas per oggi è tutto, ci sentiamo sabato prossimo per il numero di aprile di The Monthly (non vedo l’ora) e poi tra due settimane sempre dagli Stati Uniti. Grazie, ciao!
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