Questa newsletter non comincia oggi: è iniziata a settembre dell’anno scorso con un viaggio - il primo, che avevo definitivo bellissimo - tra le pagine di una graphic novel intitolata Seek You, che analizzava e raccontava attraverso diversi punti di vista quella che oggi viene identificata come la più grave epidemia americana: la solitudine. Alle lettrici e ai lettori di Sogni Americani quel viaggio era piaciuto molto (è stata la quarta newsletter più gradita di sempre): se non hai avuto modo di leggerla o la vuoi riprendere eccola qui sotto.
La nazione più sola del mondo
Ci sono dei numeri allarmanti, e ci sono già da qualche anno, senz’altro da prima della pandemia, che pure ha contribuito a farli accelerare. C’è anche una previsione che, alla luce di questi numeri e della tendenza con cui crescono, forse è già stata superata e dice:
Oggi porto avanti questo viaggio per due motivi: da un lato credo che riguardi anche noi e che possa farci riflettere su abitudini e dinamiche che coinvolgono la società occidentale in genere; dall’altro sono fortemente convinta che possa aiutare a capire come mai molte persone abbiano perso così tanto contatto con l’altro da desiderare e votare il caos proposto da Donald Trump. Oggi, tuttavia, non viaggiamo in un’opera di fiction, bensì in un articolo di taglio saggistico uscito sull’Atlantic lo scorso febbraio: l’ha scritto un giornalista di nome Derek Thompson e si intitola The Anti-Social Century.
Americans are now spending more time alone than ever. It’s changing our personalities, our politics, and even our relationship to reality.
Lo spazio della solitudine è la casa, ma per capirlo meglio Thompson parte dal ristorante, uno dei luoghi sociali per eccellenza, oggi in via di grande cambiamento: frequentandone diversi, il giornalista nota che il personale è molto indaffarato, ma nel locale di norma c’è pochissima gente se non proprio nessuno. Il bancone, spazio americano da sempre sinonimo di incontri e chiacchiere anche tra sconosciuti, è sovraffollato ma non di persone bensì di buste, scatole e confezioni pronte per essere ritirate o consegnate. Ed ecco da dove parte questo viaggio, allora: dai dati che raccontano il significativo svuotamento dei luoghi di ristoro a favore dell’incremento del delivery o del take away (il 30% negli ultimi 20 anni). Un fenomeno che nel pezzo viene chiamato “dinamica isolazionista”: non si esce di casa per stare in un altrove condiviso, ma - al contrario - si esce di casa per tornarvici con ciò di cui si ha bisogno. E, spesso, da casa non si esce proprio: qualcuno il cibo te lo consegna direttamente sul divano.
Questo vale anche per tutto il resto: dai libri allo shopping all’intrattenimento (la stessa analisi fatta per i ristoranti è stata fatta anche per il cinema, naturalmente, con numeri ancora più estremi) a - ed è questa la parte forse più interessante della faccenda - le emozioni. “Il vero problema di questa dinamica, la natura della crisi sociale degli Stati Uniti”, scrive Thompson, “è che la maggior parte degli Americani sembra non reagire alla spinta biologica di trascorrere più tempo con altre persone”. Perché sì: vivere in solitudine fa sentire sole le persone. Ma per combattere quel sentimento di loneliness (negativo e spesso precursore di stati d’animo peggiori, come la depressione) oggi gli Americani - e probabilmente anche noi - non reagiscono più da animali sociali quali sono alzandosi dal divano e cercando compagnia fuori di casa (in realtà che possono andare dal volontariato allo sport, dalla parrocchia al cineforum, dal coworking alla cena con i vecchi compagni di scuola), ma compiono un’operazione diversa, che conosciamo benissimo anche se magari non le abbiamo mai dato questa forma: rendono affollata la solitudine. Cercano una compensazione emotiva al proprio isolamento attraverso un contatto illusorio, quello fornito dalla tecnologia e dalle piazze digitali. Per frequentare le quali non è necessario alzarsi dal divano e incontrare persone vere, anzi.
Prendersela con la modernità tecnologica è spesso un passo falso, ma Thompson affronta il tema con intelligenza, a mio avviso, focalizzandosi su alcune dinamiche molto precise e restringendo il campo a una cosa nello specifico: la mezza distanza. I social e gli smartphone ci mettono in contatto con moltissime persone, la maggior parte delle quali - per come funzionano gli algoritmi - è molto simile a noi. Se questo contatto da un lato ci affatica perché abbiamo la sensazione che online stia sempre accadendo qualcosa di imperdibile, dall’altro ci consola perché quando accediamo a queste piazze digitali troviamo consenso, rappresentazione, conferme. Ci sentiamo parte di qualcosa, ci sentiamo di “appartenere” in un modo che nella realtà non potrebbe mai accadere: nella realtà non incontreremmo mai soltanto persone simili a noi e dunque dovremmo mediare. Soprattutto nei contesti della mezza distanza, quelli che ho messo prima tra parentesi, a cui aggiungo il banalissimo vicinato (the village teaches us tolerance: il villaggio ci insegna la tolleranza, è scritto nel pezzo). Un’operazione - la mediazione dal vivo - il cui solo pensiero in questo momento ci trasmette ancora più fatica se non proprio esasperazione: le persone che la pensano diversamente da noi, infatti, sono diventate così inafferrabili, diverse e inavvicinabili che le percepiamo come nemiche, appartenenti a un altro pianeta, aliene.
Con conseguenze sociali e politiche che non si fermano più alla faziosità e allo spaccamento del Paese in due (torno a riferirmo agli Stati Uniti anche se, come avrai notato, prima mi è venuto spontaneo parlare alla seconda persona plurale, noi): l’erosione del terreno comune, il disconoscimento della mezza distanza si è estremizzato a tal punto che per essere affrontato - non siamo più capaci di farlo con i mezzi di una volta, dalla dialettica alla gestione dei propri impulsi peggiori - ha bisogno del caos. Ha bisogno della rottura violenta. Ed ecco Trump.
A vote for destruction is a politics of last resort—a way to leave one’s mark on a world where collective progress, or collective support of any kind, feels impossible.
Citando uno psicologo e ricercatore dell’Università di Chicago specializzato in Intelligenza Artificiale, Thompson scrive:
«La parte più inquietante, naturalmente, è che imparare a interagire con esseri umani reali, capaci di dissentire da te e di deluderti» è essenziale per vivere nel mondo, ha affermato Epley. Credo che abbia ragione. Ma Epley è nato negli anni Settanta. Io sono nato negli anni Ottanta. Le persone nate negli anni Dieci o Venti del Duemila potrebbero non condividere la nostra convinzione sull’insostituibilità degli amici “veramente umani”. Queste generazioni potrebbero scoprire che ciò che desiderano maggiormente dalle proprie relazioni non è un insieme di persone — che potrebbero metterle in discussione — bensì un insieme di sensazioni: empatia, umorismo, conferma. E forse scopriranno che tali emozioni possono essere generate in modo più affidabile dal silicio che dalle forme di vita a base di carbonio.
Sapendo di averti dato da riflettere - questi temi possono sembrarci già superati mentre in realtà ne stiamo vivendo le più drastiche conseguenze - ti rimando al pezzo integrale, che include anche un’incoraggiante proposta di imitazione degli Amish (in breve: potremmo selezionare solo la tecnologia che serve all’intera comunità a lungo termine) e una dettagliata riflessione sulla solitudine nel mondo maschile americano. Un argomento che ho toccato sotto altri aspetti anch’io nell’ultima puntata di Miglia, emotivamente significativa.
C’è anche una confutazione di questa teoria, se può interessarti. E qui, inoltre, grafici e numeri, per capire ancora meglio la portata e l’orientamento di questa epidemia, soprattutto tra gli Americani e le Americane più giovani.
Per alleggerirti, infine, c’è la sezione degli appuntamenti. Grazie :)
Appuntamenti
Dal 16 giugno al 31 luglio, tutte le persone iscritte alla membership hanno la possibilità di usare dei coupon esclusivi sui siti di Feltrinelli, Ibs e Libraccio per l’acquisto di libri e altri materiali d’intrattenimento ideali per l’estate. Tutte le info sono qui, insieme a quelle che riguardano un’altra bella notizia!
Il bookclub LIT si riunisce dal vivo per la seconda volta (quassù era la prima, l’anno scorso ad Avigliana) a Torino il 13-14 settembre. Non vedo l’ora! Ho già selezionato la lettura extra che faremo per l’occasione (la comunicherò durante l’appuntamento di giugno) e anche un viaggio letterario inedito, che proporrò in esclusiva alle persone presenti. LIT - a proposito di solitudine - è un bookclub ma è ancora di più uno splendido gruppo in cui poter trovare conforto, amicizia, stimolo e visione. Ti invito di cuore a partecipare!
Dal 9 giugno ho cominciato una rubrica nel programma Buongiorno Capital di Marco Maisano su Radio Capital. Verso le 6.40 di ogni lunedì racconto una storia ambientata ne L’altra America: questo è infatti il nome della rubrica! Puoi recuperare le prime due a questo link (puntate del 9 e 16 giugno).
ATTENZIONE ⚠️‼️ Il 4 luglio, mentre io sarò in vacanza, torneranno a disposizione i miei corsi online di Maps of America, incluso l’ultimo sul New Mexico intitolato Terre d’incanti, con un’offerta speciale per l’estate. Per ora mettiti un campanello per quella giornata: sarà mia premura mandare un’edizione speciale di Sogni Americani sabato 5 luglio con la descrizione di tutti e sei i viaggi letterari a disposizione e la procedura per acquistarli. Finalmente!

Grazie per avermi seguita fin qui oggi, ci sentiamo sabato prossimo con l’edizione di giugno del Monthly. Ciao!
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