Credo ti sarà già capitato di sentire parlare di Marfa, cittadina a tre ore di macchina a est di El Paso e a sette a ovest di Austin (grosse città a nord e a sud non ce ne sono proprio) così trendy e rinomata per la sua arte da aver attirato creativi da ogni lato degli Stati Uniti, ma soprattutto dalla California e da New York, di cui è diventata negli ultimi anni una specie di succursale persa - se non del tutto alienata - nell’immenso e spietato deserto del Chihuahua.
Quattro modi per conoscerla, se non sai di cosa sto parlando:
la serie tv I Love Dick,
il romanzo di Ben Lerner Nel mondo a venire,
il saggio di Lawrence Wright Dio salvi il Texas e
questo reportage di Sean Wilsey.
Se hai frequentato il mio primissimo corso online intitolato Once Upon a Town, ti ricorderai anche di molte altre cose: quella dedicata a Marfa fu la tappa iniziale. Lascio qui la playlist che avevo usato durante la lezione: trovi diverse storie, ti daranno un’idea del carattere di questo piccolissimo centro della hipsteria americana. Comincia con questo video.
Visitare oggi Marfa significa imbattersi in carissime caffetterie western chic, gallerie d’arte contemporanea di diverso tipo, negozi di abbigliamento anche questi western chic (il caro vecchio West è stato ben stilizzato e minimalizzato dalla moda) e set pronti per essere “instagrammati” o per destare un qualche tipo di nostalgia estetica (pick up vintage parcheggiato, edificio basso color pastello dietro, un cactus, una strada deserta, un’insegna o una scritta con un bel font, la luce perfetta del West Texas a fare il lavoro sporco). Una cosa molto simile a quella che raccontavo nella newsletter dedicata a The Curse, ricordi?
Ecco, Marfa è come Española potrebbe diventare, è l’esasperazione della gentrification quando arriva nel deserto e diventa essa stessa desertificazione, appiattimento, consumo delle diversità, della tradizione e persino, alla lunga, della creatività.
L’ho notato questa volta più di sempre, per contrasto, visitando un luogo che non avevo mai visitato prima: la Blackwell School, una piccola scuola che dal 1909 al 1965 accolse centinaia di bambine e bambini messicani, separati e segregati rispetto ai coetanei e alle coetanee bianche, che infatti andavano in scuole diverse, nonostante la popolazione latina fosse stata considerata white al momento dell’annessione agli Stati Uniti. Nel 2022 questa scuola è diventata un National Historic Site ed è passata sotto la tutela della National Parks Conservation Association in quanto unico luogo insieme a un altro su tutto il suolo statunitense che è testimone di una pagina tanto importante per la storia della popolazione ispanica di questo Paese quanto allo stesso tempo sconosciuta.




Nonostante gli edifici originali siano stati rasi al suolo, oggi il sito conserva la ricostruzione di un’aula risalente al 1927 e moltissimi documenti d’epoca: registri per le presenze e per i voti, fotografie di classe e di singoli, programmi di insegnamento, libri, bandiere, oggetti appartenuti a vecchi studenti (tanti i capi d’abbigliamento e le divise sportive), ricordi e racconti delle ultime persone che hanno frequentato la scuola. Ci sono stati, infatti, diversi raduni da quando la scuola ha chiuso definitivamente. Uno, in particolare, merita di essere raccontato: nell’autunno del 1954 l’insegnante Evelyn Davis convinse i direttori della scuola a impedire che nel campus e tra gli studenti si parlasse spagnolo. Fu organizzato un vero e proprio funerale della lingua spagnola: la professoressa Davis e altri docenti scavarono una buca, costruirono una bara di cartone e obbligarono le ragazze e i ragazzi a seppellire lì dentro la loro lingua, gettandovi parole e frasi scritte su dei fogli o quaderni. Da quel momento chiunque fosse stato sorpreso a parlare nel proprio idioma natale sarebbe stato punito, anche con percosse fisiche.
È ciò che raccontano alcuni ex studenti che nel 2007, ormai avanti negli anni, si riunirono nel posto dove sorgeva la scuola e decisero di resuscitare la propria lingua, organizzando un contro-funerale, una vera e propria riesumazione dello spagnolo (fu comprato un dizionario a El Paso, portato a Marfa, sotterrato e dissotterrato) affinché potesse essere riportato in vita e onorato.


Ma non finisce qui. Prima che Marfa diventasse la Marfa di oggi, l’unico motivo per cui la si poteva collocare e riconoscere su una mappa era il colosso del cinema Il gigante, tratto dall’omonimo libro di Edna Ferber e girato proprio qui nei primi anni Cinquanta. Il film, oltre a raccontare una buona parte della storia commerciale del Texas, dall’economia dell’allevamento a quella del petrolio, rappresentava anche e in parte la discriminazione che veniva subita dalla popolazione latina, che - è bene ricordare - abitava questo territorio ben prima che nel 1848 venisse proclamato statunitense. Molti dei bambini e delle bambine della Blackwell School furono impegnati come comparse nel film e oggi la loro storia è raccontata dal documentario di PBS del 2015 Children of Giant (dovresti trovarlo a pagamento su alcune piattaforme online).
L’importanza di questa pagina della storia americana contrasta con lo stato in cui si trova la scuola oggi, curata sì come sito pubblico da enti pubblici, ma proprio per questo per nulla all’altezza di tutto ciò che a Marfa spicca grazie ai fondi privati, dalla Fondazione Chinati al glamping El Cosmico agli hotel e a tutte le attività commerciali, dove infatti si ferma il grosso del turismo. E il grosso dell’hype di questa cittadina.
Sperando che il futuro possa integrare in armonia tutte queste realtà e riportarne alla luce molte altre (ho visto un paio di locali storici chiusi definitivamente, purtroppo), devo dire che è stata un’esperienza di grande arricchimento visitare la Blackwell School con i Book Riders quest’anno ed essere stata testimone della sua esistenza, per poi arrivare a raccontarla qui.
Appuntamenti online e dal vivo
Aprile è appena finito, hai dato un’occhiata al Monthly che ho mandato lo scorso sabato?
Può un libro farsi amare, farsi mal sopportare ma anche lasciare tiepidi? Sì, l’ultimo appuntamento di LIT, il bookclub della McMusa, è stato divertente proprio perché ce lo ha fatto provare sulla nostra pelle. Puoi recuperarlo approfittando del periodo di prova della membership di 30 giorni, attivo ancora per una settimana. A maggio leggeremo Quando il ramo si spezza di Daegan Miller (link affiliato).
Il 14 maggio sarò alla Fondazione Cirulli di San Lazzaro di Savena, molto vicino a Bologna, per un incontro dal titolo Contronarrazioni americane insieme a Francesco Conversano, autore del progetto fotografico Lungo le Strade Blu. Along the Blue Highways, esposto in mostra. Qui i dettagli.
Il 17 maggio sarò invece al Circolo Quarto Stato di Cardano al Campo, in provincia di Varese, per un talk dedicato alla città di Austin (dove sono appena stata, fresca fresca) inserito nella rassegna Nomi Cose Città. Viaggi ed esplorazioni dentro luoghi che cambiano: tutta la serata sarà dedicata alla capitale del Texas, con cena, musica e altri ospiti. Condividerò altre informazioni sui social nei prossimi giorni.
Entrambi questi eventi dal vivo saranno un’ottima occasione per raccontare l’America che ho potuto vedere in queste tre settimane abbondanti di viaggio: spero tu possa esserci!
Ti saluto da Roswell - sì quella degli alieni 👽 - dandoti appuntamento tra due sabati qui su Sogni Americani o domenica prossima nella tappa del podcast Miglia: farò un puntatone su un luogo texano di straordinaria potenza narrativa ed economica, ma brutto che trovarne di peggio è cosa rara. I luoghi qui sotto, invece, sono stati incantevoli, anche e soprattutto per la compagnia dei Book Riders: considera questo video un affettuoso saluto.
Grazie, ciao!
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