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J.D. Vance al tempio
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J.D. Vance al tempio

Considerazioni sulla convention repubblicana (che grazie a Dio è finita)

Parto mettendo le mani avanti: questa newsletter di norma racconta storie. Oggi invece ospiterà più di tutto un’opinione.

Dopo quattro giorni trascorsi davanti allo schermo a guardare&ascoltare discorsi dalla RNC, la convention del Partito Repubblicano, e a leggere analisi, resoconti e altre opinioni, sento di aver perso completamente il sostegno delle storie (grave) e percepisco, al contrario, molta urgenza nel constatare e nel condividere qui con te una cosa: se questi sono i nuovi Repubblicani, se questo è il Partito Repubblicano rinnovato nel segno di una nuova unità (parola chiave stra-usata in questi giorni, sia per rivolgersi a nuovi elettori moderati che per parlare di sé, cementando così la propria autocoscienza ormai totalmente trumpista, il resto del Partito è stato di fatto eliminato), allora siamo di fronte al suo annullamento. Annullamento di cui è alfiere - o se non altro simbolo, per ora - l’uomo del momento, lo scrittore e senatore dell’Ohio J.D. Vance, dall’altro ieri anche running mate di Donald Trump nella corsa alle elezioni del 5 novembre: nel caso Trump venga rieletto, Vance sarà il suo vice.

Ma andiamo con ordine.

J.D. Vance si fa conoscere al grande pubblico nel 2016 grazie al suo memoir Elegia americana (in americano, Hillbilly Elegy, un titolo piuttosto forte per la combinazione di degrado e riscatto, la connotazione geografica e sociale, e l’intento di autoassoluzione che trasmette) in cui racconta la giovinezza travagliata tra Kentucky e Ohio, in quell’intersezione geografico-culturale in cui si incontrano la Rust Belt, territorio intorno ai Grandi Laghi coinvolto dalle conseguenze della deindustrializzazione (rust vuol dire ruggine), e l’Appalachia, territorio che si sviluppa intorno e dentro i boschi dei monti Appalachi, in una comunità di bianchi poveri abbandonati dalle istituzioni (i cosiddetti hillbillies, appunto), in cui giorno dopo giorno vengono erose salute, relazioni famigliari, risparmi, orizzonti e dignità. Tanto individuale quanto collettiva.

Il merito più grande di questo libro? Aver fatto conoscere buona parte dell’America di Trump a chi trumpista non era e, anzi, nel 2016, dopo la sua elezione, andava in cerca di risposte, molto spesso in libreria e al cinema (Ron Howard realizza un film basato sul libro che ha abbastanza successo). Sì, perché c’è questo punto di partenza ineludibile quando si tratta di J.D. Vance: nel 2016 e fino probabilmente al 2020 è un cosiddetto “Never Trump” convinto. Disprezza il Presidente Trump, e lo definisce pubblicamente sull’Atlantic l’eroina (la droga) del Paese e privatamente su Facebook lo paragona a Hitler. Tra le altre cose.

E poi cambia idea.

Ero arrivata a questo punto qualche giorno fa in un video pubblicato sui social in cui mettevo in luce i motivi di successo del libro e alcuni suoi temi cruciali che ritengo validi ancora oggi. Se non l’hai ancora visto, guardalo, condivido qui la versione di TikTok perché ci sono i sottotitoli.

Come è passato un Never Trump a essere nominato per diventare addirittura il suo vice, nel giro di soli 8 anni? È per rispondere a questa domanda che ho cercato una storia, la sua storia, e mi sono però ritrovata senza nulla.

Nulla, il vuoto, l’annullamento.

Non sono tanto le ipotesi indagate e giustamente trovate da altri giornalisti, soprattutto americani (ne elenco alcune: l’inevitabile apprezzamento per l’operato di Trump durante la sua prima presidenza, l’aver svelato un carattere populista non molto dissimile da quello sposato dalle persone che l’autore descriveva nel suo libro, opportunismo duro e puro, il fatto che i suoi ideali prima moderati e poi molto conservatori si siano scontrati con l’ambiente di Yale dove ha studiato e dove si è infine radicalizzata la sua “allergia” per le élite), che possono essere tutte vere e tutte provabili, quanto piuttosto le occasioni in cui J.D Vance si è manifestato in prima persona: questa intervista rilasciata al New York Times poche settimane fa e, naturalmente, il discorso con cui ha accettato la nomina di vicepresidente durante la convention repubblicana. Due momenti in cui, al di là di una manciata davvero risicata di contenuti, ho davvero vagato nel buio, il buio della sua mente, la totale mancanza non solo di carisma e carattere (avercene) ma anche di idee, di concetti, di proposte. Di politica. Di una storia, appunto.

J.D. Vance è un disco infinito di rumore bianco, quello del nuovo (direi, più correttamente, rinnovato) Partito Repubblicano che altro non è che un circolo di culto di Donald Trump.

In modo non dissimile dalla maggioranza degli altri discorsi, anche quello di Vance si è concentrato soprattutto su due temi, direi due ritornelli: quanto si stava meglio quando a governare c’era Trump e quanto è unito questo partito che vuole bene a tutte le persone che rispettano la legge a patto che la rispettino, immigrati inclusi. Questo per 35 minuti, preceduto da altri due grandi classici della convention del 2024: l’attentato in cui Trump ha dimostrato di tenere al popolo americano più ancora che a se stesso (Fight! Fight! Fight! canta il pubblico) e la famiglia. In particolare la madre che oggi celebra dieci anni da sobria e la mamaw, la nonna stereotipata degli Appalachi, che teneva 19 pistole cariche per proteggere suo nipote e - parole di J.D. - incarna il vero spirito americano perché è questo che fa un’americana vera: lottare per sé e per la propria famiglia. Anzi, di sicuro avrà detto children perché quanto amano tirare in ballo i bambini i Repubblicani davvero nessun altro.

Fine.

Sono perfettamente a conoscenza del fatto (e lo sarai anche tu) che le convention sono momenti di propaganda e di autocelebrazione, in cui chi interviene lo fa sapendo di parlare a un pubblico tendenzialmente amico che sta a casa sul divano ad ascoltare con orecchio sì e uno no (ogni serata dura in media 4 ore), ma guardando anche soltanto gli highlights e una (folta) selezione di discorsi mi sono sentita impoverita in modo abissale. Nel rumore bianco di queste voci e questi discorsi reiterati all’infinito, quest’anno con un tono e uno stile strategicamente più pacati e misurati di altre volte nonostante si basino per il 90% su menzogne e costruzioni alternative della realtà, ho visto esautorarsi anche il più piccolo residuo di politica, di pensiero, di complessità, di carattere (quanto vorrei poter celebrare il disaccordo, invece che la noia più inesorabile), di moralità e persino di narrativa. Non c’è più una storia a sostegno di questo partito, non c’è più una struttura, non c’è più nulla al di fuori di un uomo, i suoi amici e suoi nemici. L’intero racconto delle condizioni di vita miserabili delle persone che vivono nella Rust Belt e tra i monti Appalachi non c’entra più nulla, era probabilmente vera ma già vecchia nel 2016, quando Vance l’ha raccontata e rivitalizzata, e oggi si è dimostrata puro strumento. Come l’attentato, come la famiglia, come i children e la unity.

Rumore bianco.

E, non fraintendermi, non sto dicendo che tutto questo non sia pericoloso: lo è, lo è molto, come lo è ogni culto. Ma è anche vuoto. E il vuoto può essere riempito: se l’America non sarà in grado di farlo e di farlo a breve, quello sarà il vero problema e il vero abisso. Che sia a destra come a sinistra, che sia a New York come tra i boschi e le vecchie miniere del Kentucky.

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Grazie per avermi letta fin qui anche oggi, nel caso volessi discutere di questo e altri argomenti di attualità ti consiglio di leggere qui sotto, ho solo una notizia, ma è piuttosto calda!


CAREFUL, IT’S HOT 🔥

Domenica 21 luglio alle 21 comincia CAREFUL, IT’S HOT, una rassegna di appuntamenti dedicati ai temi caldi dell’attualità degli Stati Uniti, in cui presenterò alcune notizie e le commenterò con il pubblico, usando anche strumenti presi a prestito dalla narratologia, dalla retorica e dal mondo delle storie in generale. Più o meno come ho fatto oggi, ma con più dettagli e riferimenti.

Ogni appuntamento ruoterà intorno a 3 temi, quelli di questa domenica riguarderanno in parte la convention repubblicana (analizzerò alcuni discorsi, alcune parole e figure chiave) e in parte alcune trame che in questi giorni si stanno delineando nel discorso pubblico, cambiando l’orizzonte americano di riferimento.

Come si partecipa?

La rassegna sarà in diretta su YouTube ed è dedicata a tutte le persone iscritte alla membership. Basta abbonarsi (o esserlo già) a uno qualsiasi dei 3 piani di abbonamento (Miglia, Mac&Cheese e LIT): gli appuntamenti di CIIH sono inclusi senza altri costi aggiuntivi (come sempre, chi non potrà partecipare in diretta riceverà la registrazione, sia audio che video).

Ti do due occasioni per abbonarti, allora, legate a Elegia americana: la puntata di LIT (il bookclub) in cui abbiamo letto Demon Copperhead di Barbara Kingsolver e questo episodio di Miglia qui sotto.

Gli Appalachi non finiscono certo con J.D. Vance!


Quando ci risentiamo?

Un’ultima cosa velocissima prima di salutarci, un sondaggio. Ad agosto io lavorerò, ci saranno senz’altro accadimenti rilevanti negli Stati Uniti (tocca di Democratici, per dire, ma ho in cantiere anche altre storie) e io sono pronta ad andare avanti con questa newsletter con il solito ritmo (ogni due sabati). L’estate, però, è anche un momento in cui molte persone ne approfittano per staccare un po’ e recuperare vecchi contenuti. Dimmi la tua.

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Ci sono comunque sempre Telegram, Instagram, TikTok, la newsletter States (siamo appena arrivate in Ohio, tra l’altro, lo Stato di J.D. Vance) e la sacra membership!

Grazie mille, ci sentiamo comunque presto. Ciao.

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La newsletter quindicinale di Marta Ciccolari Micaldi, aka La McMusa.
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