Questa sarà una newsletter reportage, quasi una cartolina. Breve ma intensa.
Sono alla fine del secondo tour dei Book Riders di questo autunno, quello nel Pacific Northwest, di cui questa è l’ultima edizione. O, almeno, l’ultima edizione con il programma e l’itinerario che avevo elaborato circa 9 anni fa e che quindi oggi - per come si è evoluto il mio lavoro e per come è cambiata l’America nel frattempo - non è più del tutto attuale.
Mentre ti scrivo mi trovo al Quinault Beach Resort and Casino, un hotel molto grande e frequentato situato sull’oceano Pacifico poco più a sud della Olympic Peninsula, nell’estremo angolo nord-occidentale del Paese. Un posto isolatissimo. Piove forte. Fuori, oltre all’acqua, non si vede nient’altro perché non c’è nient’altro. L’oceano è vicinissimo, ma non ha luci ed è oscuro come il Nord. Il gruppo sta per andare a mangiare, io ho appena terminato e sono di fronte al camino della mia camera che scrivo. Il camino non manda nessun calore naturale, ma proietta fiamme blu. Potrebbero anche essere bianche, verdi e rosse: il loro colore si può cambiare con un pulsante, così come l’intensità, la forma e anche la temperatura. Il fuoco si accende con un interruttore. Le fiamme sono finte. I piccoli ceppi - quattro - che poggiano sul davanti delle fiamme sono finti. L’intero camino è un’illusione da parete che fa parte del pacchetto di comfort di questo albergo. Almeno, riscalda: è dotato di un foro da cui esce aria calda artificiale.
Sopra le fiamme blu c’è naturalmente una televisione gigante, mentre ai lati del camino ci sono due quadri, tre se si considera la parete della camera accanto al mio letto: ognuno raffigura un animale simbolo della tribù Quinault, sul cui territorio - che è una Indian Nation - sorge l’hotel. Gli stessi si ritrovano sui campioncini di shampoo e crema per il corpo, su alcuni motivi della moquette e degli arredi, sull’ascensore, sulla bandiera che sventola insieme a quella statunitense davanti all’ingresso: un’aquila che pizzica con il becco una scintilla di luce, un salmone, un’altra aquila di profilo nella cui ala è dipinto un salmone. Aquila e salmone sono gli animali della tradizione dei Quinault, nella loro cultura raffigurano il potere della pesca, l’attività di sussistenza e mitologica più tradizionale e comune di queste zone prima che arrivassero i bianchi.
Salvo, oggi, il casinò. Che di nuovo ha a che fare con i bianchi, solo che al contrario.
Come forse già sai, sul territorio statunitense il gioco d’azzardo è generalmente vietato o regolato da norme molto limitanti. Fanno eccezione posti famosi come Las Vegas e Atlantic City o altri meno conosciuti come Cripple Creek, dove vigono leggi speciali e meno stringenti. La maggior parte dei casinò sorge dunque su quelle porzioni di terra che non ricadono sotto le leggi statali o federali americane bensì sotto la giurisdizione nativa (che spesso quindi coincidono con le riserve), decisamente più tollerante se non del tutto libera nei confronti dell’attività del gambling. Con i proventi che ne derivano riesce infatti a nutrire un’economia e un personale altrimenti in grande difficoltà: per certi aspetti e operando un’astrazione un po’ forzata, questa sembra persino una forma di riscatto. I bianchi, qui dentro, mentre riversano soldi senza controllo, sono infatti al loro peggio. O, almeno, un incongruo spettacolo.
La maggior parte delle persone che vengono qui sono anziane e dipendenti, molte stanno in piedi con difficoltà e alcune hanno bisogno di una sedia a rotelle o un deambulatore. Il figlio di una coppia di novantenni ha detto che i genitori vengono qui due volte all’anno, da due decenni almeno. Ti chiedi perché siano lì invece che a casa o al sicuro da qualche parte. Siedono da sole o al massimo in due, incantate di fronte a slot machine dalle proporzioni pantagrueliche, dove roteano luci, carillon, numeri, rotelle, simboli e disegni a tema. Personaggi di fantasia, animali e vip. Enormi rispetto a loro che stanno immobili lì davanti e non parlano. Non c’è più la leva laterale delle vecchie macchine né tantomeno il denaro vero, i gettoni: tutto si fa con un tasto e attraverso un credito che sale e scende a seconda di come va la giocata. Di norma scende. I soldi non si percepiscono, la fortuna non arriva né se ne va producendo rumori riconoscibili. In sottofondo ci sono sempre e solo musichette e note che si ripetono: le studiano apposta, così come le profumazioni d’ambiente e la disposizione delle slot. Devono farti restare lì dove sei. Non esistono orologi, ma la Coca Cola e il caffè sono a disposizione gratis e fuori dalle porte ci sono aree protette dove è consentito fumare al riparo dalla pioggia, in America una cosa rara.
Prima di venire qui in camera, davanti al camino finto con le fiamme blu, ho mangiato al ristorante davanti a una di queste macchinette incastonate nel bancone: se avessi giocato e avessi vinto durante la cena, avrei potuto avere da bere gratis. Non ci ho neanche provato, ho pagato il mio bicchiere di vino con i soldi veri e ho continuato a guardare persone che non avrebbero dovuto essere lì. O che avrebbero dovuto esserci, ma meglio. Questa notte perderanno. E torneranno, schiave della malattia del gioco, libere sulla terra nativa, immobili senza poter scappare da nessuna parte.
Tanto fuori è nero e lontano da ogni cosa.
Cosa c’è nei paraggi
Per conoscere meglio una delle tappe più significative di questo tour, ti consiglio di leggere o ascoltare una delle vecchie puntate di Sogni Americani, quella che racconta la casa dove Raymond Carver visse durante la giovinezza, un posto che lui stesso non ricordava volentieri.
C’è anche la puntata di States che proprio la scorsa domenica ha raccontato lo Stato di Washington (piena zeppa di consigli di lettura).
Ad Aberdeen, dove è nato e ha vissuto Kurt Cobain, la lettura è sempre stata - in tutte e sei le volte che sono stata qui con i gruppi - questa: e ancora non mi ha stancata, è sempre perfetta.
Domani, domenica 20 ottobre, la mia socia Valeria Sesia farà uscire un pezzo di Mac&Cheese - la newsletter pop dedicata alle persone iscritte alla membership - che aprirà una questione irrisolta su una storia proveniente da qui vicino.
Tornando invece al tour appena terminato in Colorado: dopo la newsletter scorsa sull’associazione La Puente, ho aperto una raccolta fondi per raccogliere donazioni da destinare al loro lavoro. Siamo vicini ai 1000 euro! Se vuoi contribuire puoi farlo da qui. E, se quella storia ti ha affascinato, nell’ultima - graditissima - puntata di Miglia ho portato gli ascoltatori e le ascoltatrici a Saguache, poco lontano da Alamosa. Anche se è già tutto un altro mondo.
Grazie per avermi seguita fin qui oggi, ci sentiamo a ridosso delle elezioni, tra due sabati. Ciao.