Sogni Americani
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La nazione più sola del mondo
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La nazione più sola del mondo

Un viaggio - bellissimo - nella solitudine epidemica degli Stati Uniti
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Ci sono dei numeri allarmanti, e ci sono già da qualche anno, senz’altro da prima della pandemia, che pure ha contribuito a farli accelerare. C’è anche una previsione che, alla luce di questi numeri e della tendenza con cui crescono, forse è già stata superata e dice: entro il 2030 la solitudine sarà l’epidemia numero uno negli Stati Uniti. Sì, forse gli Stati Uniti a quel punto ci sono già arrivati: la solitudine, intesa come loneliness, è già epidemica. Più di un terzo della popolazione (il 36%) dice di sentirsi sola sempre o almeno regolarmente (come se fosse uno stato emotivo costante e normale, che si ripete tutti i giorni, senza soluzione di continuità, quindi cronico), ma questa stima si ingigantisce (arriva al 61%) se ci si concentra sulla popolazione giovane, quella dai 18 ai 25 anni, e sulle madri con figli piccoli (51%).

Prima di capire che cosa sta succedendo e come mai sta succedendo in modo così acuto proprio negli Stati Uniti, occorre fare un po’ di chiarezza sul concetto di solitudine. Un concetto che non riguarda soltanto l’America bensì molte delle società contemporanee che poggiano su strutture simili: la solitudine è infatti una condizione che riguarda la modernità, ovvero la civiltà post-industriale, quella che nel passaggio dal Settecento all’Ottocento in Occidente vide sgretolarsi il modello sociale prevalente fino ad allora (aggregativo, collettivo, comunitario) e nascere quello moderno (nuclearizzato, privato, individuale). Certamente gli Stati Uniti, che diventarono una nazione proprio durante quel passaggio storico e dunque ne incarnarono sin dall’inizio i presupposti e i modelli, di questa struttura sociale moderna sono i capostipite. Così come sono la patria del capitalismo e dell’individualismo, due delle conseguenze più di larga scala di quel passaggio.

Ma non basta.

When we talk about loneliness, what we’re actually talking about are all the issues that swirl perilously underneath it: alienation and isolation, distrust and disconnection and, above all, a sense that many of the institutions and traditions that once held us together are less available to us or no longer of interest. And to address those problems, you can’t just turn back the clock. You have to rethink the problem entirely — and the potential solutions too.

La solitudine epidemica di cui si parla oggi non significa “mancanza di compagnia” né si traduce con “tempo trascorso da soli o da sole”: ha a che fare piuttosto con i concetti di isolamento e separazione derivanti dalla scomparsa di una “meaningful connection, ovvero della percezione di una connessione profonda e significativa con le altre persone. Che siano una sola, un gruppo o la comunità intera. Attenzione alla parola “percezione”: mentre l’isolamento sociale è una condizione obiettiva (ci torno tra un momento), la solitudine è lo stato emotivo che ne deriva e riguarda la qualità, il sentire delle tue connessioni. In altre parole: ci si può sentire profondamente disconnessi pur vivendo circondati da altre persone. Non è tanto la prossimità fisica a definire la solitudine, quanto quella emotiva. Credere nel profondo che alla tua chiamata non risponderà mai nessuno.

Come se tu vivessi sott’acqua. E gli altri nel silenzio.

Così torniamo alla specificità degli Stati Uniti, un Paese caratterizzato da elementi oggettivi che creano disconnessione tra le persone e isolamento: distanze enormi, uso diffuso delle armi, percorrenza degli spazi quasi sempre in macchina, modelli culturali fuorvianti e di grande pressione (dal self-made man/woman al cowboy solingo alla donna che non deve chiedere mai), figure nemiche molto specifiche (l’immigrato, il comunista, i neri, gli islamici, i senzatetto), frammentazione dei nuclei famigliari (per andare a frequentare il college in città o per lavoro, ad esempio), assenza di welfare e digitalizzazione estrema delle relazioni. E su questo mi soffermerei, perché le sue conseguenze riguardano senz’altro anche noi e possiamo riconoscerle: si tratta del “cocooning”, un ritiro volontario nel mondo digitale che offre tutto ciò di cui abbiamo bisogno tranne ciò di cui abbiamo davvero bisogno. Non una connessione qualsiasi, dunque, bensì una “meaningful connection”.

Nonostante per molte persone la solitudine si faccia sentire addirittura come un fallimento personale (e questa non è altro che un’ennesima pressione sociale), la scienza ci dice che in realtà la loneliness è un segnale, al pari di tutti gli altri che siamo abituati a percepire come tali e ad ascoltare (la fame, la sete, il sonno). Un segnale, dunque, di qualcosa che deve essere cambiato.

Un segnale, infine, che Kristen Radtke, scrittrice e illustratrice americana, ha ascoltato talmente a fondo e senza sconti che ne ha tratto un incredibile saggio a forma di graphic novel intitolato SEEK YOU. A Journey Through American Loneliness. È da questo libro che ho tratto le illustrazioni che ho inserito nella newsletter, nonché tante delle informazioni che ho condiviso: è un testo che ho letto durante la pandemia e a cui ripenso molto spesso, per tante ragioni. Sicuramente la solitudine - quindi il contenuto del libro - non è un sentimento che non conosco, ma reputo ancora più preziose la sua forma (il disegno riesce là dove la parola non può e la divisione delle sezioni è davvero efficace: LISTEN - WATCH - CLICK - TOUCH - LISTEN, questi i titoli), la sua scientificità (l’autrice racconta diversi studi che sono stati condotti sulle scimmie così come analizza diversi passaggi storici e condizioni sociali del suo Paese) e la sua spiccata “americanità”. Non esagero se dico che questo è uno dei primi libri che farei studiare a dei miei ipotetici studenti per capire l’America di oggi.

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Se clicchi sul post di Instagram qui sopra lo vedrai sfogliato: purtroppo al momento non ho notizie di una sua eventuale traduzione italiana (anche se so di alcune persone che si sono spese per provarci), ma online lo trovi ovviamente in americano e poi anche in tedesco, in spagnolo e in francese.

Non è un libro facile, ma non deve esserlo. La gravità della solitudine epidemica negli Stati Uniti è profonda e galoppante; le conseguenze fisiche a cui può portare sono altrettanto gravi (infarti, ictus, demenza) e i rimedi o almeno la considerazione che le viene riservata è al momento del tutto insufficiente. Nessuna di queste cose, tuttavia, non ci riguarda.

Come ho scritto subito dopo averlo letto:

La solitudine ha questo di truffaldino: ci fa credere di essere gli unici e le uniche a provarla, separandoci così da quei legami o da quegli incontri che potrebbero dissolverla e, ancora peggio, impedendoci di credere alla possibilità che molte altre persone oltre a noi vivano la stessa identica sofferenza. La solitudine, racconta questo libro, in realtà è un’epidemia di cui soffrono parecchie comunità. Di cui certo soffrono moltissimo gli Stati Uniti, paese in cui geografia, economia e sistema sociale concorrono a isolare i nuclei piuttosto che ad aggregarli. Tanto che, a guardar bene, gli eroi della loro pop culture altro non sono che questo: uomini soli.

Pagina dopo pagina della graphic novel, però, si scopre che, per quanto ci renda isole e satelliti apparentemente lontani, la solitudine ci rende anche e soprattutto simili. Vicini. Persino comunicanti. Donne, uomini, individui, persone. In America, in Italia, dappertutto. A volte basterebbe solo esser certi che, se lanciamo un segnale, là fuori c’è qualcuno pronto a coglierlo. SEEK YOU, già dal titolo, vi racconterà proprio questo.

Grazie per avermi seguita fin qui oggi. Se sei tra le persone che sono state toccate personalmente da questo racconto sappi, appunto, che non sei sola: come ho letto in uno dei commenti a uno degli articoli che ho linkato, ci vuole una comunità per sopravvivere. Quanto è vero. Non potendo però tornare a prima del Settecento, proviamo a cercarla almeno nei racconti degli altri che risuonano con i nostri: qui, ancora, ce ne sono alcuni illustrati da Kristen per l’Atlantic, nei commenti - se vuoi, se volete - potete magari lasciarne e trovarne altri. Per l’occasione li lascio aperti.

❤️


Prossimamente

Ci siamo: nonostante l’estate stia finendo, per chi si interessa di Stati Uniti la fase calda dell’anno comincia adesso. Che cosa farà La McMusa per raccontarla?

  • CAREFUL, IT’S HOT: continua la rassegna dedicata all’attualità riservata alle persone iscritte alla membership. Dopo il primo appuntamento dello scorso 21 luglio (il giorno in cui Biden si è ritirato dalla corsa), ci rivediamo l’11 settembre, una data che non ha bisogno di presentazioni e che quest’anno, in più, seguirà il primo dibattito tra Trump e Harris. Per unirti a noi (ci saranno anche altre date in autunno) e saperne di più, questo è il link dove andare.

  • il bookclub LIT ogni mese aggiunge voci e sguardi diversi, critici e profondi sull’America di oggi. A settembre leggiamo il memoir di Jesmyn Ward, Sotto la falce; a ottobre e novembre ci muoveremo invece in alcuni di quegli swing states che decideranno l’esito delle elezioni. Tutti insieme i libri del 2024 stanno offrendo uno spaccato del Paese veramente interessante (puoi dare un’occhiata qui, vedi i post che si chiamano LIT).

Entrambi i format saranno replicati dal vivo il 23-24 novembre alla Certosa di Avigliana (TO) durante un weekend esclusivo dedicato alle persone iscritte al programma più completo della membership, LIT appunto.

  • States, la newsletter che conduco con Luciana Grosso dallo scorso autunno alla scoperta dell’America Stato per Stato, è entrata nella sua ultima tranche: questa domenica, per dire, arriviamo in Tennessee. Intanto, nelle tappe precedenti, abbiamo davvero sperimentato cos’è la pluralità (varietà, certo, ma anche frammentarietà). Andiamo avanti fino al 3 novembre.

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Questa newsletter e tutti i social, soprattutto Telegram, continueranno ovviamente a informarti, raccontarti storie e offrirti prospettive critiche, oltre che spazi di confronto. E anche a mostrarti un po’ di America: il 23 settembre si parte per un mese di Book Riders (e non solo).

Grazie, ci sentiamo tra due sabati. Ciao!

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Gli Stati Uniti raccontati dalle persone, dai luoghi, dai libri.
Dai risvegli.
La newsletter quindicinale di Marta Ciccolari Micaldi, aka La McMusa.