Sogni Americani
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La vera contea di Holt
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La vera contea di Holt

Quella che ha fatto i conti con la storia

C’è un punto esatto, a qualche miglio da Denver, in cui la montagna finisce e comincia la pianura. Il passaggio non è affatto graduale: tutt’a un tratto sono cambiati i colori, è cambiata la vegetazione, ai lati della strada non ci sono più le iconiche rocce rosse bensì attrezzi agricoli e l’orizzonte è perfettamente.. be’, orizzontale. Quando ti accorgi di tutto questo, però, è già troppo tardi: sei appena entratə nelle leggendarie Great Plains, le Grandi Pianure, e chissà quando ne uscirai.

Qualche anno fa, eravamo nel cuore degli anni Dieci dei Duemila, in Italia arrivò per la seconda volta l’opera di Kent Haruf, scrittore americano che aveva fatto di quelle pianure l’ambientazione della maggior parte dei suoi romanzi. Era la seconda volta, e non la prima, perché il suo romanzo più famoso negli Stati Uniti, Plainsong, era già stato tradotto e pubblicato anche da noi appena un anno dopo la sua pubblicazione in patria. Nel 1999 in America, dunque, e nel 2000 in Italia.

Primo di una trilogia che avrebbe preso il nome proprio da quella pianura, Plainsong racconta la vita della comunità di un paesino immaginario di nome Holt. Ci sono i vecchi fratelli McPherson che allevano le mucche, un padre che cresce due figli e intanto insegna storia nel liceo del paese, sua moglie Ella che soffre di depressione, una ragazzina che rimane incinta a sedici anni e viene cacciata di casa dalla madre alcolizzata, un’insegnante che la aiuterà. La Main Street e la ferrovia, la vita dei campi e l’allevamento, la malinconia e la semplicità delle piccole cose sono gli assi su cui poggia la trama, su cui questi personaggi si muovono e su cui noi lettori e lettrici costruiamo con loro il nostro legame emotivo, il nostro trasporto. Plainsong - Canto della pianura in italiano - si rivela un libro che funziona: amiamo farci cullare da questa melodia tanto che una parte di noi vorrebbe, in un certo senso, tornare a quando la vita ci sembrava così semplice, modesta e calorosa e non fare più ritorno a quella che nostro malgrado stiamo vivendo.

Dimenticandoci di due cose fondamentali: che quella vita in realtà noi non l’abbiamo mai vissuta. E che non la vivono neanche gli Americani dell’America rurale, le persone vere che dovrebbero somigliare a quei personaggi ma che in realtà non esistono. O, almeno, non esistono più.

Quando la Trilogia della Pianura uscì per la seconda volta in Italia, come si diceva, nel cuore degli anni Dieci - era il 2015, per la precisione - intorno a questa storia si creò un rumoroso caso editoriale. Il libro funzionava, l’operazione nostalgia veniva spinta a più non posso (e ovviamente funzionava), le vendite erano altissime e questa immagine lieta della vita di provincia americana veniva diffusa dai giornali, dai blog, dagli editori e dai cosiddetti addetti ai lavori (una parte di loro) con incredibile disinvoltura. Il canto della pianura diventò così, in brevissimo tempo, un canto delle sirene: una musica che ti ammalia, ti cattura e finisce per allontanarti pericolosamente dalla realtà, cancellandone di fatto - e come minimo - gli ultimi 16 anni. Dall’altro lato dell’oceano, infatti, mentre noi italianə ci cullavamo nell’illusione di un’armonia primordiale ormai inaccessibile salvo che per i fortunati e le fortunate che vivevano in tutti quei paesini simili a Holt (cioè 3/4 dell’America), la vera provincia americana si incancreniva, si arrabbiava, diventava il regno del malcontento e della violenza, del risentimento, della privazione, della povertà. Estremizzava il sospetto verso il diverso, acutizzava il suo razzismo, cominciava a consolarsi nella metanfetamina e negli oppiacei, si isolava ancora di più rispetto al resto del paese e rispetto a quanto già non lo fosse stata nei decenni precedenti, nonostante le distanze spaziali e quelle culturali facessero già piuttosto bene il loro sporco lavoro. Da quasi un secolo.

Mentre nel 2015 in molte persone italiane si creava la (falsa) idea che l’America rurale fosse il regno nostalgico della bellezza delle piccole cose, appena un anno dopo, nel 2016, l’America rurale elesse Donald Trump al grido dirompente di Make America Great Again. E un’occasione per capire come questo fosse accaduto fu definitivamente persa.

Kent Haruf non ha colpe, non fraintendermi: le sue storie sono davvero gradevoli da leggere e, sopra ogni cosa, in quanto scrittore lui era assolutamente libero di inventare o di modificare tutte le realtà che voleva. L’errore in cui siamo statə sospintə noi risiede fuori dalle sue opere: per l’ennesima volta abbiamo creduto (o voluto credere) che l’America fosse una cosa semplice.

Questa mappa è stata allegata all’edizione italiana di un altro libro di Kent Haruf, Le nostre anime di notte. Se vuoi un esempio di recensione della sua opera, ti consiglio il pezzo da cui ho preso questa foto.

Holt, il paesino in cui si ambientano le opere di Kent Haruf, non esiste ma si basa dichiaratamente su alcune cittadine del Colorado come quelle in cui l’autore nacque (Pueblo) o morì (Salida). La mappa che accompagna le sue opere ci porta però, direttamente, in un piccolo centro urbano di nome Yuma, a 3 ore di auto a nord-est di Denver. A 3 ore di auto da tutto il resto, in ogni direzione, a dire il vero. Qui abita una comunità di 3500 persone circa, ci sono la Main Street e la ferrovia come sono descritte nei libri, ci sono le farm degli allevatori e degli agricoltori, c’è un delizioso motel che ha il nome del raccolto (Harvest Inn) e che sembra davvero contenere la grazia delle cose di una volta nonché un piccolo grande sogno americano di modesto benessere, c’è la vita modellata sugli orari dei campi, c’è un solo diner e decine di capannoni dove stipare il grano. Per le strade però non passa nessuno: a volte un trattore, i pick up dei cacciatori con i fucili in bella vista, persone a piedi mai. Il silenzio è sinistro, la Main Street è vuota, il cortile del liceo pieno di foglie vecchie. Le tendine delle case monofamigliari (non ce ne sono di altri tipi qui) sono tutte abbassate, qualcuno ne alza un lembo se passa una macchina che non si era mai vista prima e poi lo riabbassa. Quando i lavoratori tornano dai campi si notano la loro pelle scura, le due parole strappate alla stanchezza e scambiate rigorosamente in spagnolo, la loro statura meno alta della media e lo sguardo basso. Quando entrano nel diner la cameriera li serve per ultimi, quando una turista scende dalla macchina su una di quelle strade deserte per fare una fotografia viene aggredita con sospetto: perché ti avvicini a casa mia?

Posti come Yuma sono degli osservatori davvero speciali della complessità della società rurale americana, luoghi in cui convivono accoglienza e rifiuto, progresso e arretratezza, senso di comunità e senso di alienazione, pace e paura. Raccontarli evidenziandone un solo aspetto è legittimo, venderli come rappresentativi di qualcos’altro è proprio un peccato. La Trilogia della Pianura è un’opera piacevole e bella, la realtà delle Great Plains è decisamente più interessante, varia, complessa e reale. Non ho dubbi sul fatto che Yuma sarà la destinazione che desterà più trasporto e più discussioni tra i Book Riders quando andremo lì a ottobre (e tutte le altre volte, esattamente come è successo a Yakima per il tour nel Pacific Northwest: l’ho raccontata qui) e che la stessa opera di Haruf verrà letta sotto un’altra luce e magari restituita con dignità e rispetto al regno della fantasia. L’unico a cui dovrebbe appartenere.

Grazie per avermi letta fin qui oggi, ci sentiamo tra due sabati. Intanto, però, ti lascio a qualche comunicazione importante!


Ci siamo quasi, allora! Si parte per il Colorado, per quello che si preannuncia il tour più spettacolare dei Book Riders. Non solo per la natura davvero strabiliante, ma anche per il programma letterario all’insegna delle radici e della diversity: percorrere le sue strade - comprese quelle che ci porteranno dentro Yuma - significa (divertirsi moltissimo e anche) percorrere alcune delle realtà più attuali e pregnanti degli Stati Uniti. Ti invito a leggere il programma (eccolo) e a prendere posto al più presto: sono rimasti solo 4 posti nel primo turno, il secondo è sold out!


Ma lo sai che ho creato un canale su Telegram? Ho voglia di sperimentare nuovi modi per comunicare con voi e questo mi sembra davvero stimolante, per ora. Lo trovi qui, ogni giorno condivido una storia americana… e ieri ho fatto vedere proprio l’Harvest Inn di Yuma. Dacci un occhio!