La lettura può fare molte cose: divertire, intrattenere, distrarre, consolare, aprire, ridere, eccitare, commuovere. La letteratura ne deve fare meno, ma più difficili: turbare, scomodare, insegnare, cambiare, liberare. È normale che a fare queste cose ci riescano meno libri e meno autori o autrici rispetto alle prime, è tuttavia preoccupante quando a riuscirci non risulta praticamente più nessuno. O, almeno, nessuno che abbia meno di 60 anni.
Se mi segui su Telegram o se fai parte del bookclub LIT quello che sto per dire non ti giungerà nuovo, ma se non è così magari per te oggi accendo una miccia nuova affermando che: la letteratura americana, in modo particolare la fiction, non se la sta passando benissimo. A fronte di un (felice, a mio avviso) allargamento del mercato editoriale a nuove voci e minoranze, la qualità letteraria delle storie pubblicate (sia in Italia in traduzione che soprattutto negli Stati Uniti) è mediamente bassa, molto conforme e superficiale. In generale, le nuove generazioni di scrittori e scrittrici sembrano aver abbandonato la letteratura a favore della lettura: stile piano, sperimentazione assente, linearità ad ogni livello (lessicale, sintattico, temporale, metaletterario), trama seguibile, messaggio esplicito, periodi brevi, intrecci e linguaggi non particolarmente lavorati. A volte varia la lunghezza o si lavora in qualche modo sui punti di vista dei personaggi, ma l’esperienza generale di queste letture risulta, per chi la fa, gradevole quando va bene, a volte banale, il più delle volte ripetitiva.
Sembra di leggere sempre la stessa storia.
Se non ci fosse un contenuto distintivo (dunque niente che riguardi la forma) a sostegno di queste letture - la trama, banalmente, o la rilevanza del messaggio politico - non le ricorderemmo nemmeno: nel profondo smuovono poco o niente.
Le cause di questo trend (è un fenomeno che ho messo a fuoco nell’ultimo anno e che sto tenendo sotto osservazione come si fa con le cose fresche, senza giungere a conclusioni definitive bensì includendo il cambiamento) possono essere diverse ma tra queste escluderei con certezza l’assenza di autori e autrici americani in grado di fare letteratura, la crisi politico-sociale degli Stati Uniti (l’arte dà il meglio di sé proprio quando ha il marcio intorno) e l’intrusione della tecnologia. Sono invece piuttosto convinta che sia una questione di mercato. E magari una volta ne parleremo, ma non oggi.
Oggi vorrei invece concentrarmi su un’alternativa. Su una forma di letteratura. La migliore che io abbia incontrato quest’anno e che arriva - non casualmente - da lontano.
Non ho conosciuto Teju Cole (scrittore, fotografo, docente universitario e critico, classe 1975) nel 2024. Avevo letto il suo primo romanzo su New York, Città aperta, proprio a New York tre anni fa, nel 2021 (il reel sopra fotografa quello). Poi l’avevo tenuto d’occhio a distanza, mettendo nella mia libreria i suoi libri sulla fotografia senza però leggerli e leggendo invece alcuni suoi articoli di approfondimento qua e là sui giornali del mondo. Infine, qualche settimana fa, senza programmarlo ma totalmente d’istinto mi sono avvicinata al suo ultimo romanzo, attirata da tre cose, in particolare: il senso di noia dovuto alle decine di libri di letteratura americana contemporanea letti di recente che rientrano nella riflessione di poco sopra; la provenienza africana tanto dell’autore quanto del protagonista (non afroamericana, proprio africana); l’ambientazione accademica.
L’ho divorato.
Con piacere, fatica, confusione, scomodità, scoperta, necessità di uscire dal libro per ascoltare musica, guardare opere d’arte, cercare nomi che non conoscevo. E tornandoci dentro sempre piena di curiosità.
Tremore di Teju Cole è un romanzo polifonico e disorganico, che racconta la storia di Tunde, professore di storia dell’arte di Harvard di origine nigeriana, e delle sue relazioni emotive e intellettuali: con la moglie di origine giapponese, con il razzismo della società liberale americana in cui si muove, con la sua terra d’origine in cui ci porta e di cui ci fa ascoltare 24 voci come 24 sono le ore del giorno, con la musica (quanta musica nuova in questo libro, quanta!), con un passato dai contorni misteriosi, con la vanagloria dell’Occidente bianco e la vulnerabilità delle immagini, soprattutto quelle di Lagos, in Nigeria, il colore della sua persona e delle altre come lui.
Su otto capitoli, i primi quattro sono raccontati in terza persona e rivolti a un “tu” la cui identità rimane incerta, il quinto è una relazione accademica dello stesso Tunde letta agli studenti, il sesto è composto da 24 mini racconti ambientati a Lagos e raccontati da 24 persone diverse, il settimo è semplicemente il ritorno a New York, l’ultimo è raccontato in prima persona da Tunde e, a volte, dalla moglie, per chiudere senza chiudere. In ognuno di questi noi che leggiamo ci chiediamo: dove siamo? chi parla? e a chi? Nondimeno, la scrittura è magnetica e autosufficiente, riesce a essere colta senza mai smettere di essere generosa, registra le atrocità della storia come fa con i riflessi della bellezza dell’arte (senza messaggio, la morale è implicita), gioca con la distanza, la sottrazione, la vibrazione del non detto e persino l’investigazione, anche se questa è richiesta soprattutto a noi, finché scopriamo che in fondo non è poi così rilevante.
C’è stato bisogno di trovare l’Africa affinché l’America potesse fare letteratura: questo è quello che ho pensato durante e alla fine della lettura. Teju Cole è nato negli Stati Uniti ma è cresciuto in Nigeria, e si sente. Il suo sguardo è diverso, la sua capacità di penetrare l’arte è diversa. Non è necessariamente godibile e gradevole come lo è la lettura di altre storie, ma il punto è proprio questo: non deve esserlo. Deve, al contrario, fare la differenza, creare attriti, obbligare all’interrogazione, rendere scomoda la sedia su cui sediamo. Deve creare nella vita di chi lo legge un prima e un dopo, uno scarto, anche minimo ma innegabile.
Tremore è un libro a cui non si danno stelline ma ascolto.
Buona lettura, allora, se vorrai. Il mondo di Teju Cole si crea e si ricrea anche attraverso le numerose playlist che lui stesso rende disponibili sul suo profilo di Spotify. Non perdertele.
Cerchi un’idea regalo per Natale?
Quest’anno ho due proposte per i tuoi doni natalizi:
l’abbonamento a uno dei piani della membership della McMusa 🎄 Può essere annuale o mensile, può essere quello più completo (LIT) o quello più pop (Mac&Cheese) o semplicemente quello più itinerante (Miglia): in ogni caso sarà un regalo ricco, originale e che sostiene il giornalismo indipendente. Puoi acquistarlo da questa pagina, dove trovi anche un po’ di FAQ. PS: è un’ottima soluzione per i regali dell’ultimo minuto o per le persone care che vivono lontane!
Quello con La McMusa (Marta, Valeria, & co.) è sempre e comunque un viaggio--e non potrebbe essere altrimenti. Questo significa non solo attraversare luoghi e "incontrare" persone, ma anche vivere e diventare consapevoli di trasformazioni, cambiamenti, evoluzioni attraverso gli occhi e la voce de La McMusa, per poi farli criticamente propri. E poi, divertirsi assai!
Terra di incanti, il corso online dedicato al New Mexico 🎁 Ne ho parlato nella newsletter di due sabati fa e ho condiviso anche qualche riflessione personale nelle note di Substack: questo nuovo viaggio letterario significa moltissimo per il nostro percorso e sarà un’esperienza speciale per chiunque lo farà insieme a me. È riscatto in un momento di grande crisi degli Stati Uniti (e non solo), è scoperta di storie e voci messe a tacere, è esplorazione di un territorio sorprendente e ancora misteriosamente isolato. È un miraggio. Trovi tutti i dettagli qui: ne seguiranno altri (tra cui la bibliografia, so che tante persone la stanno aspettando) in un video che posterò a brevissimo su Instagram. Intanto dal carosello qui sotto trovi già diverse suggestioni. PS: anche questo è un ottimo regalo dell’ultima ora, soprattutto per chi vorrebbe viaggiare e non può!
Grazie per avermi seguita fin qui oggi e in tutte le scorse tappe di questo 2024. È stato un anno denso e impegnativo, ma quelli che ci aspettano credo che non saranno da meno. Anzi. Ci risentiamo su questi schermi sabato 11 gennaio, goditi quello che delle feste ti fa stare meglio. Il tempo, ad esempio. O il cibo. Io viaggerò!
A presto.