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Da Portland con dolore
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Da Portland con dolore

Una cartolina

Oggi è una giornata eccezionalmente soleggiata e calda nella città più popolosa e nota dello stato dell’Oregon, Portland. Mentre ti scrivo, seduta in una caffetteria di fianco alla sua libreria più grande e frequentata, Powell’s Books, c’è un musicista di strada che suona una musica mediterranea: queste note, l’aria tiepida, la luce intensa e il cielo celeste potrebbero farmi credere di essere in una delle nostre località di mare, così famigliari e così piacevoli. Non di certo in una delle città più grigie, piovose e umide dell’intera West Coast. Una città che per dieci mesi su dodici non mostra il cielo ai suoi abitanti bensì lo sostituisce con una spessa coltre di nubi, una città in cui qualsiasi narrazione - anche la più contemporanea - non può che cominciare con il rumore o la sensazione o la malinconia della pioggia. Una città, infine, che è protagonista del tour dei Book Riders chiamato Lit PNW (lo sto svolgendo proprio ora e ne approfitto per scusarmi se questa newsletter arriva un po’ più tardi di quanto stabilito, non è facile trovare qualche ora libera mentre sono on the road con i gruppi) proprio in virtù del modo e della velocità con cui sta cambiando. E certamente non solo dal punto di vista climatico.

Diventata famosa dentro e fuori gli Stati Uniti tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, Portland iniziò ad attirare persone dai quattro angoli del paese perché era strana, bizzarra, unconventional. Perché era un posto abbastanza nascosto e piccolo da poter accogliere chiunque stesse cercando una via di fuga “dal sistema” o una vita alternativa, era un posto dove si potevano fare ancora tante delle cose che in altri luoghi erano passate di moda o erano diventate di dubbio gusto o, ancora, erano state inghiottite dal progresso. A raccontare l’anima di questa cittadina altrimenti fino ad allora nota solo per le sue varietà di rose e i suoi numerosissimi ponti, in quegli anni ci pensavano Portlandia, una spassosa serie tv che prendeva in giro tutte le cose stravaganti o estreme o primordialmente woke che accadevano in città (lo puoi capire già dalla sigla lassù), e Chuck Palahniuk, l’autore di Fight Club, che visse qui a Portland fino a qualche anno fa e ne scrisse anche una guida turistica. O, meglio, una guida personale, perfettamente corrispondente al carattere inconsueto suo e della sua città. Nell’introduzione, infatti, raccontando del suo dialogo con un’altra scrittrice del posto di nome Katherine Dunn, Chuck scriveva:

La teoria di Katherine è che chiunque cerchi di farsi una nuova vita migri a ovest, attraversando l’America verso l’oceano Pacifico. Una volta lì, la città più economica in cui vivere è Portland. Ed è questo che ci permette di avere fra noi i più scoppiati tra gli scoppiati. La crema dei disadattati. “Non facciamo che accumulare gente strana” continua lei. “Qui a Portland siamo tutti profughi o fuggiaschi”.

Ed era vero: fino a una decina di anni fa, prima che Austin, la capitale del Texas, glielo rubasse, il motto della città era KEEP PORTLAND WEIRD, ovvero mantieni la città strana, bizzarra, fuori dagli schemi. Era un invito scritto a caratteri cubitali sui muri dei palazzi in centro, nei locali, nelle caffetterie, sulle ciambelle del negozio di ciambelle più rosa della città e poi dell’intero paese (Voodoo Doughnut è una vera istituzione, meriterebbe una newsletter solo per sé sia perché fa delle ciambelle deliziose sia perché la sua espansione traccia una specie di mappa di tanti dei cambiamenti che stanno investendo gli Stati Uniti in questi ultimi anni). Nel suo libro guida, ambientato tra il 1981 e il 2002, Palahniuk ci porta a conoscere tanti dei motivi di orgoglio e stranezza di allora: dai numerosi strip club che trasformavano la città da Portland a Pornland ai cimiteri degli animali, dai set dei videoclip più pulp della tv alle parate di Babbi Natale che finivano in rissa con la polizia, dalle stanze degli ospedali dov’erano ricoverati disgraziati in overdose ai luoghi dove potevi metterti in contatto con i morti e stare un po’ in loro compagnia.

In questo pezzo di Vice l’autore racconta la sua Portland (quello nella foto è lui)

Nessun dubbio, quindi, che da almeno 40 anni la città più popolosa e famosa dell’Oregon si stia impegnando per distinguersi da tutte le altre e garantire a quella stranezza fissa dimora: oggi i murales sono ancora al loro posto, così lo sono le ciambelle, le rose, i ponti, le caffetterie, le librerie, le cause sociali per cui combattere e le persone giuste con cui farlo. Qualcosa, tuttavia, nello scorrere del tempo e dei flussi di persone è andato storto; qualcosa in questo succedersi di profughi, fuggiaschi e gente bizzarra si è incrinato irrimediabilmente; qualcosa in questa crescita della città ha cominciato ad andare nel verso sbagliato e oggi sembra davvero essere troppo tardi per trovare una soluzione.

Le strade sono piene di persone senzatetto. Accampati in tende sui marciapiedi o sotto i ponti (letteralmente) ma più spesso accasciati a terra in mezzo alle gambe dei passanti o alle porte dei negozi, la quantità di homeless è straziante, impressionante, ineludibile. Uomini e donne di tutte le età, soprattutto single ma anche in famiglia, occupano i quartieri del centro di Portland e versano in evidenti condizioni critiche, tanto di salute fisica quanto di igiene quanto di stato psichico. Il report più recente risalente allo scorso gennaio 2022 conta 6.633 persone senzatetto nelle tre contee dell’Oregon che includono o costeggiano Portland. Solo la Multnomah County, quella che appunto include la città, ha subito in incremento di 1.200 unità dall’ultimo report del 2019: se da un lato è ovvio pensare che la pandemia abbia contribuito energicamente a far crescere questo numero, dall’altro lato è impossibile non considerare un fenomeno che tanto qui a Portland quanto in molte altre città americane (Austin, San Francisco, Denver, Seattle, Sacramento, San Jose, Phoenix e Los Angeles, tanto per citarne alcune) sta cambiando radicalmente l’assetto della società americana. In peggio. È il crescente aumento del costo della vita e, in particolare, delle case, tanto da affittare quanto da acquistare. Più queste città progrediscono in termini di concentrazione di posti di lavoro, più la distribuzione della ricchezza che ne consegue si concentra esclusivamente nelle mani di chi occupa tali posti di lavoro (la maggior parte delle volte aziende tech) e più, di conseguenza, il tenore di vita diventa insostenibile per chi invece non appartiene a quel determinato settore della società: gli affitti aumentano anche del 20-25% all’anno, le leggi a tutela degli inquilini o per calmierare affitti e costi sono insufficienti, gli sfratti si moltiplicano a velocità impressionante, il divario tra ricchi e poveri nel giro di pochi anni diventa ampissimo e influisce così tanto sulla conformazione delle città da trovarle poi, dopo soli pochi anni, completamente irriconoscibili.

Sono migliaia le persone che non possono più permettersi di vivere a Portland: per molte di loro, impossibilitate ad andare dove la vita costa meno (sobborghi, piccoli centri, altre città più periferiche) nonché private di una rete sociale che negli Stati Uniti fa fatica a funzionare (se non è del tutto inesistente), non resta che un’unica possibilità, spesso anticamera di malattia, violenza e morte. La strada.

Non era questo il destino che Palahniuk e tutti gli altri e le altre come lui desideravano per la loro città quando la scelsero, né era questa la stranezza che si auguravano di coltivare tra le sue strade. Viene da chiedersi - qui come altrove - come è possibile che tale nefasto destino si realizzi lo stesso, senza che né loro né chi li governa sembri in grado di porvi un freno. Senza che né loro né chi li governa riesca a mantenere le cose non tanto weird quanto piuttosto normali.

Grazie per avermi letta fin qui oggi, ci risentiamo da un altro tour e da un’altra costa americana tra un paio di settimane. Se ti va di seguirmi mentre sono in giro per gli Stati Uniti ti consiglio di farlo dal mio Instagram ma anche dal nuovo canale Telegram: mi dà un sacco di soddisfazione!


Il libro di Chuck Palahniuk di cui ho parlato si intitola Portland Souvenir. Gente, luoghi e stranezze del Pacific Northwest. Puoi comprarlo da questo link: tu lo paghi allo stesso prezzo ma a me va una piccola commissione che mi aiuta a sostenere i costi della newsletter. Grazie!

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La newsletter quindicinale di Marta Ciccolari Micaldi, aka La McMusa.