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Dasani from Brooklyn
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Dasani from Brooklyn

Sopravvivere alla disuguaglianza nella città più disuguale d'America

Si chiama Dasani, come la famosa marca d’acqua che vendono al supermercato e che sua madre non si sarebbe mai potuta permettere. Sua madre che di nome fa Chanel, e il motivo è lo stesso. La sorella, nata appena 11 mesi dopo Dasani, invece di nome fa Avianna e l’ispirazione questa volta l’ha data la Evian, un’acqua ancora più costosa - molto più costosa - della Dasani. Gli altri sei fratellastri hanno nomi più normali ma il patrigno, l’uomo che Chanel incontrò in un rifugio per senzatetto di Harlem e dei cui occhi adulti e tristi si innamorò, si fa chiamare Supreme. 

È il 2013, a New York ci sono 22.000 bambini senzatetto e Dasani è una di loro. Ha 11 anni. Lei e la sua numerosa famiglia - Chanel e Supreme avevano entrambi 25 anni e due coppie di figli quando si sono conosciuti: insieme ne hanno fatti altri tre - vivono tutti insieme in un’unica stanza infestata di ratti in una struttura per persone senza dimora chiamata Auburn Family Center, poco distante se non del tutto incorporata alle Walt Whitman Projects, le case popolari di Brooklyn che portano il nome del famoso poeta, cantore e padre dell’identità degli Americani. 

Gli Americani: quelli che Dasani vede ogni giorno frequentare le sue stesse strade, ma non lo stesso parco - anzi, la stessa porzione di parco -, non gli stessi locali, non gli stessi negozi, non lo stesso bike-sharing, non gli stessi canestri. Lei e questi Americani abitano a Fort Greene, uno dei quartieri di Brooklyn che da metà degli anni Duemila, sospinto dalle scelte politiche di un sindaco miliardario e lontano (Bloomberg), ha cominciato a cambiare volto in maniera sempre meno integrata e strutturata, in maniera sempre più disuguale e divisiva. Quella che abbiamo imparato a conoscere come gentrification. Dasani e quegli Americani abitano a Fort Greene, infatti, ma quando la ragazzina passa attraverso i locali e i negozi frequentati da loro ciò che pensa è: “la ricchezza appartiene ai bianchi perché non buttano tutti i loro soldi a bere e a fumare.”

Dasani è afroamericana, così come lo sono i suoi fratellastri, sua sorella, Chanel e Supreme. Loro due, i genitori, alle spalle hanno una lunga storia di abusi, violenza e consumo di droga. I loro genitori, a loro volta, avevano lottato per non soccombere alla miseria più disperata: alcuni ce l’avevano fatta, come la nonna materna di Dasani, che si era ripulita dalla droga e si era tenuta stretta il lavoro di addetta alla pulizia dei vagoni della metropolitana; altri no, come i genitori di Supreme, che, ridotti allo stremo, avevano addirittura lasciato morire la propria figlia di 2 anni. Erano tutti cresciuti in zone segregate di New York, erano stati tutti senzatetto per la maggior parte della vita, avevano tutti inteso sia New York che la vita come qualcosa di diverso e lontano, di inconciliabile e alieno rispetto a quegli altri Americani. I bianchi, i vicini di casa.

Era stato così, almeno, fin quando Dasani non era finita sulla prima pagina del New York Times e persino in un discorso celebre del sindaco che era appena succeduto a Bloomberg, De Blasio: non possiamo abbandonare i bambini come Dasani, disse. 

Cos’era successo?

Era successo il giornalismo, come spesso accade in questo paese: nel 2011 la scrittrice e reporter premio Pulitzer Andrea Elliott e, in seguito, la collega fotografa Ruth Fremson (di cui sono le foto inserite in questa newsletter) avevano individuato nella vita di Dasani la storia perfetta da seguire per capire gli effetti della “gentrificazione” e della disuguaglianza sulla popolazione più povera di New York, da loro definita la città più disuguale degli Stati Uniti. Andrea Elliott aveva così seguito e accompagnato Dasani per 14 mesi, fino alla realizzazione di uno di quei servizi del New York Times che fanno la storia. Invisible Child, diviso in 5 parti, che uscì appunto nel dicembre nel 2013 e che portò la vita di Dasani all’attenzione di tutto il paese e soprattutto di quella parte del paese che condivideva le sue stesse strade pur non sfiorandola mai.

Dasani è andata a scuola, percorrendo a piedi e in bus, per anni, distanze infinite: la scuola, come racconta Elliott nel suo servizio, per questi bambini è insegnamento ma anche sopravvivenza. È qui che possono mangiare l’unico pasto caldo e completo della giornata, è qui che imparano il rispetto per sé e per gli altri, è qui che è meglio passare la giornata visto che in alternativa ci sono le gang, gli abusi, la droga, la sporcizia, le risse. A dire il vero le risse sono sempre state il problema di Dasani, a cui è stata data in dono un’intelligenza sopra la media ma anche una forza che faceva paura persino ai suoi compagni maschi. L’aveva dovuta usare, quella forza: era la maggiore di tutti i suoi fratelli, si era occupata di loro da sempre facendoli svegliare la mattina, portandoli a scuola, obbligandoli a vestirsi e a uscire, quando era il caso anche a non reagire durante le perquisizioni dei servizi sociali.

Ma era stata una violenza, l’ennesima, ad allontanarla da quegli stessi fratelli, dalla famiglia intera, dalla stessa New York: il servizio del 2013 di Andrea Elliott si interrompe quando la ragazzina e la famiglia sono in una situazione di relativa stabilità. Stabilità che dura poco: nel 2014 Dasani viene mandata in una scuola per bambini in difficoltà della Pennsylvania rurale, a Hershey, dove rimane per diverso tempo, accompagnando il percorso scolastico a quello di affidamento e crescita presso famiglie e strutture specializzate. Rimane ancora una delle ragazze più fumantine e forzute della scuola, le sue risse vanno e vengono a intermittenza, ma nel frattempo le sue sorelle rimaste a New York non riconoscono più il modo in cui parla, diventato troppo educato, troppo grammaticalmente corretto, troppo “bianco”. A lei manca sua madre, Chanel, e in questi lunghi 7 anni che trascorre lontana perde definitivamente la possibilità di vivere con la sua famiglia ancora unita. Quel nucleo non esiste più: chi in affidamento, chi in prigione, chi in un programma di riabilitazione. E se la famiglia si fosse disgregata proprio a causa sua? Se fosse stata proprio lei a dare il via alla disgregazione?

Risponde ancora una volta Andrea Elliott con quello che in questo momento qui a New York è uno dei libri più letti, più discussi, più esposti in libreria: “Invisible Child: Poverty, Survival and Hope in an American City”. Ovvero, la vita di Dasani dopo il servizio del New York Times del 2013.

Proprio oggi sono stata a Fort Greene: ho attraversato il parco e soprattutto quell’unica strada che ancora divide i ricchi dai poveri. Dove i ricchi pagano 2-3 milioni di dollari per un appartamento e, allo stesso semaforo ma dall’altro lato della strada e per un unico ghettizzato isolato, i poveri vivono ancora come la famiglia di Dasani dieci anni fa. Se ti va di vedere com’è quell’angolo di quartiere, ho realizzato un breve servizio per Instagram: lo trovi salvato sul mio profilo.

Grazie per avermi seguito fin qui oggi, ci risentiamo l’ultima domenica di novembre, il 28, sempre dagli Stati Uniti.. credo! 


Appuntamenti

Mi trovo a New York perché sto conducendo da qui, online per il pubblico italiano, il mio nuovo corso di letteratura americana The City that Never Dies. Per ora abbiamo fatto due lezioni, Deaths e Streets, ce ne restano ancora tre: New Yorkers, Girls e Bodegas. Nel caso volessi unirti sei ancora in tempo e ovviamente puoi recuperare anche gli appuntamenti precedenti! I dettagli sono tutti qui.


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