Sogni Americani
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Dove il mondo scintilla
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Dove il mondo scintilla

Reportage dal New Mexico
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La luce del New Mexico è unica. Lo si dice di tantissimi altri Stati americani e, in effetti, è vero per ognuno di loro: la luce del Colorado è fresca e severa, quella del Texas è romantica e calda, la luce della California è perfetta, tanto avvolgente quanto cristallina, la luce della Louisiana è bianca, quando non del tutto un velo, quella dell’Arizona è nient’altro che rosa e pastosa. La luce del New Mexico, invece, com’è?

Scintillante.

Non appena metti piede in una delle sue strade, anche solo fuori dall’aeroporto, sembra che ogni raggio di luce arrivi sulla terra del New Mexico attraverso minuscole e permanenti scintille. Unità di luce che scoppiano a contatto tra loro e che continuano a scoppiare non appena si posano sulle superfici. Inclusa la tua. Oltre a essere magnifica, quindi, la luce del New Mexico possiede anche una sua elettricità, un modo di portare agli occhi e alla pelle di chi ci sta in mezzo una sensazione vitalizzante. E arcaica, che sembra arrivare da molto molto tempo prima. Parecchio del merito di questa sensazione - mi spiace molto per la luce stessa e il cielo che la trasmette - è della terra che la riflette: il New Mexico è un immenso deserto, che comincia bianco e giallo al confine con il Texas e con il Messico (c’è persino un parco nazionale dall’aspetto lunare che si chiama White Sands) e diventa sempre più ambrato, brullo, montuoso man mano che si va verso nord. In quelle zone che proprio alcuni pittori e artisti del Novecento scelsero per la loro arte, come stregati, posseduti dalla materia terrestre, luminescente e celeste che volevano provare a tradurre in qualcosa (Georgia O’Keeffe in testa, parlerò di lei un giorno, questa qui sotto era la sua casa).

In New Mexico è nata la bomba atomica. La scintilla più devastante del mondo. Sperimentata e collaudata proprio in questi deserti, in virtù di quegli spazi immensi, nel cuore dello stesso Novecento degli artisti.

Lo scorso autunno, quando Israele ha cominciato la sua turpe devastazione di Gaza e dei Territori Palestinesi facendo scempio tanto della terra quanto della vita che la abitava, dopo settimane di silenzio, tormento, dolore e delusione, capii che l’unico modo che avevo - e tuttora ho - per sentirmi utile, non occupandomi specificamente di Medio Oriente, sarebbe stato onorare le popolazioni native che avevano già subito un genocidio per mano di quello che invece è il soggetto principale del mio lavoro nonché il primo alleato di Israele, gli Stati Uniti d’America. E di più: sarebbe stato provare ad andare là dove quelle popolazioni native non solo sono ancora in vita ma convivono, da un lato, con la sacralità della loro terra e, dall’altro, con l’espressione più feroce dell’imperialismo statunitense (l’eredità della bomba atomica ma non solo: la gentrificazione, la mitizzazione della Route 66 e quella del Far West, la disuguaglianza sociale e il razzismo), e provare a trarne un racconto morale, una riflessione (a proposito di luce) utile anche ai nostri giorni.

E quindi eccomi qui, tra le scintille del New Mexico, dove ben prima di artisti e “artificieri” abitavano decine di tribù di Nativi e centinaia di migliaia di persone indigene. Diciannove di quelle tribù conservano e custodiscono gelosamente ancora qui, oggi, la loro casa, i loro villaggi. Si chiamano pueblos e sono territori chiusi e indipendenti dall’amministrazione locale, dove la luce sì che è arcaica - e quindi sacra, come molti altri elementi naturali, dagli animali ai semi - e le culture native resistono di colonizzazione in colonizzazione. Eccoli.

Tranne due, i pueblos non sono villaggi accessibili al resto delle persone, salvo in rare occasioni di festa e a pagamento. Nella loro parte antica sono costituiti da abitazioni molto semplici chiamate cliff-dwellings, costruite in blocchi di adobe o di fango su più piani e comunicanti tra loro per ospitare una o più famiglie, come a formare un alveare, molto spesso sul fianco di una montagna o sulla cima di una mesa. Senza riscaldamento né elettricità. Intorno a diversi luoghi cerimoniali chiamati kivas.

La maggior parte si trovano vicino alle cittadine più grandi e frequentate del New Mexico (Albuquerque e Santa Fe) mentre altri sono arroccati in luoghi remoti, dove in effetti la terra sembra uscire da ere che non sono la nostra e gli unici rumori sono quelli del vento, degli alberi e dei lupi, per chi sa ascoltarli naturalmente. Molti, quasi tutti, sono circondati da miseria e povertà. Sì, perché dentro i pueblos antichi vive solo una parte della popolazione nativa: migliaia di altri individui e di altre famiglie abitano nell’aerea circostante, fazzoletti di terra dove spesso le strade non sono asfaltate, gironzolano cani randagi, le case sono di lamiera, tantissimi rifiuti occupano lo spazio pubblico e c’è un’assenza pressoché totale di servizi per come li consociamo. Assenza che viene occupata spesso da degrado, tossicodipendenza e oblio. In altre parole, gli effetti della discriminazione.

Mi è capitato di essere testimone di questo ossimoro - sacro e dissacrato - sulla strada verso e dentro Jemez Pueblo, quello dove visse e ambientò la sua opera più famosa lo scrittore N. Scott Momaday, l’unico nativo americano ad aver vinto un Pulitzer, proprio per Casa fatta di alba. La parte antica del pueblo è chiusa ai visitatori, c’è un museo molto dettagliato che racconta la storia, l’architettura e la cultura di Walatowa (questo il nome indigeno), dove non si possono fare foto e video, e poi un sentiero nel canyon da cui si può sovrastare l’intera area naturale. La parte sacra. Prima del museo, invece, sulla stessa splendida strada, c’è la cittadina moderna, che sembra essere cresciuta su quel territorio senza che nessuno se ne prendesse cura, come crescono gli animali randagi: in mezzo ai rifiuti di chi ha più di loro. Questa è la sensazione. Ed è la parte dissacrata. Lo si nota dai dettagli: ci sono molte persone che non hanno la macchina e si muovono a piedi o in bicicletta o su moto modificate, i tetti degli edifici non tengono, i cartelli spesso sono cartelloni realizzati a mano, lo schoolbus giallo è il vecchio modello.

Dettagli molto diversi da questi:

C’era una casa fatta di alba. Fatta di polline e pioggia, e la terra era antica ed eterna. Le colline erano variopinte e la pianura brillava di argille e sabbie di colori diversi. Cavalli rossi e azzurri e chiazzati pascolavano nella pianura, e più in là, sulle montagne, un’oscura landa incontaminata regnava sovrana. La terra era ferma e forte. Ovunque era bello.

Era il 1946. L’anno in cui Momaday si trasferì a Jemez, l’anno dopo la bomba atomica.

Grazie per avermi seguita anche oggi, spero di averti aperto una piccola porta su un mondo immenso che magari non conoscevi o non conoscevi così. Lo esploreremo ancora a lungo, qui sotto ti dico come.


Prossimi appuntamenti (e alcune note)

Questo viaggio, insieme a quello fatto lo scorso novembre in altre zone del New Mexico, ha - come ho detto poco sopra e come avrai intuito - uno scopo di ricerca. Al momento non so dirti i dettagli su quando diventerà cosa, se un tour dei Book Riders, un corso, un altro libro o tutte e tre le cose. Il New Mexico e le sue realtà culturali vanno studiati a fondo, investendo del tempo e altre risorse, non sono sufficienti due viaggi per poterlo raccontare, non almeno per come sono solita raccontare i luoghi degli Stati Uniti io (quello che hai letto fino a qui, infatti, è un reportage, non un testo con finalità più profonde).

Non mancheranno ovviamente aggiornamenti sullo stato dei lavori, strada facendo. Colgo però l’occasione per dirti che, per quanto riguarda i tour dei Book Riders, per me non è più possibile farne più di 4 all’anno, almeno adesso, soprattutto per ragioni di salute. E che le notizie sui prossimi viaggi passeranno esclusivamente da qui, dal canale Telegram e dal sito, non da messaggi privati (incluse mail prima dell’apertura delle iscrizioni), chat, DM, whatsapp. Chi è iscritto a LIT, come già detto più volte, ha la precedenza.

E allora passiamo alla parte editoriale e più giornalistica del mio lavoro, che diventa di anno in anno sempre più centrale e che quindi ti invito a seguire con partecipazione!

  • Miglia, il mio podcast di esplorazione e racconto on the road degli Stati Uniti, ad aprile sarà dedicato a una delle cittadine più incredibili, ricche e peculiari del New Mexico. Non voglio rovinarti la sorpresa ma diciamo che saremo in tutt’altro mood rispetto all’ultimo episodio di marzo (che comunque resta bellissimo e lo porto nel cuore)!

  • LIT, il boocklub della McMusa, sempre questo mese leggerà proprio il libro di N. Scott Momaday. Casa fatta di alba è un romanzo molto particolare, che può risultare non facile e, dal mio punto di vista, difficile da “agguantare”: proprio per questa ragione sarà interessantissimo parlarne insieme l’ultima settimana di aprile. Come sempre, i dettagli dell’appuntamento arriveranno tra qualche giorno, mentre qui puoi comprarlo in versione cartacea offrendomi un caffè e qui puoi ascoltarlo in lingua originale, con prefazione letta dall’autore stesso.

  • Last but absolutely not least: ci sono ancora 4 posti per il weekend texano di Ivrea del 20-21 aprile alla libreria Azami! Il Texas è oggi lo Stato più importante da capire per capire l’America intera, nonché uno di quelli che sta evolvendo a maggior velocità: ecco perché sono tornata alle sue storie e ho deciso di mettere insieme un programma totalmente rinnovato che terrà conto di alcuni valori e aspetti fondanti del “carattere Texas” (rilevabili soprattutto dall’opera di Larry McMurtry e Meyer) e delle sue declinazioni più attuali, passando attraverso un classico del confine (il libro di Gloria Anzaldúa) che è un testo dal valore politico e umano imprescindibile, soprattutto oggi che sui confini si combattono guerre vergognose. Ecco a te la bibliografia completa, spero che ti faccia gola! I dettagli, invece, li trovi nel post di Instagram più sotto.

Allora ti aspetto da queste parti. E ci risentiamo ovviamente qui su Sogni Americani tra due settimane. Ciao!

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Dai risvegli.
La newsletter quindicinale di Marta Ciccolari Micaldi, aka La McMusa.