Possiamo immaginare la trama dei libri come quella delle stoffe: un reticolo di fili che genera incroci, che genera percorsi, che genera disegni. Fermiamoci al reticolo, possibilmente quello più semplice, con i fili tesi tirati su un telaio e una moltiplicazione infinita di piccoli quadrati perfetti che hanno tutti quattro lati della stessa misura. Se lo guardiamo con una lente d’ingrandimento, il reticolo è banalissimo; se ci allontaniamo i quadrati del reticolo non li vediamo neanche più ed emergono gli incroci, i percorsi, i disegni. Noi per ora restiamo con gli occhi sulla lente, restiamo nella più facile delle visioni, e cominciamo però a fare una cosa anomala: togliamo alcuni lati di quella massa di quadrati perfetti. Li togliamo piano piano con le dita, così che i quadrati restano ma molti sono chiaramente incompleti. Poi facciamo un’altra cosa anomala: in quella trama di fili dello stesso colore, alcuni li tingiamo di nero, altri di rosso, altri d’oro. Infine, sempre con la lente puntata sul nostro telaio, cerchiamo di individuare di cosa è fatta la materia di quei fili. Cotone? Lana? Pelle?
No. Ci accorgiamo presto che nella nostra trama c’è la seta. Ci sono dei capelli. E di nuovo fili d’oro. A volte anche pelle, sì, ma non quella animale. Che storia è questa?
Posiamo la lente e torniamo ai libri: il telaio è la pagina bianca, la trama dei fili è la trama della scrittura, i fili sono - a questo punto l’avrai capito - le parole e le frasi. Ripetendo esattamente quanto fatto sopra, quindi, iniziamo a togliere dalla scrittura la punteggiatura, nessun segno che divida il discorso diretto da quello indiretto, nessun apostrofo, nessun inutile orpello che faccia inciampare gli occhi, nessuna addizione eccezion fatta per la congiunzione e. Per il resto solo sottrazioni e chirurgica pulizia della lingua. All’aspetto generalmente scorrevole della storia aggiungiamo poi una cura maniacale del vocabolario, la scelta di ogni minimo e raro aggettivo, lo studio etimologico e onomatopeico di ogni parola, il thesaurus di ogni possibile registro e significato tra cui eleggere a volte quello più colto, a volte quello più tecnico, a volte quello più grottesco. Quelli che prima erano i fili neri, rossi e oro, appunto. Infine, la materia: di cosa di cui è fatta questa storia, il suo contenuto?
Di tutto ciò che ci riguarda e che ci travolge in quanto umani, colto in quell’attimo esatto - un attimo che spesso è una vita intera e non riguarda solo un individuo, bensì tutti - in cui è impossibile chiederne spiegazione a Dio o a qualsiasi altro essere umano. E men che meno consolazione. La colpa, la perdita, la solitudine, l’amore, l’ostinazione, la fede, il riscatto, la bellezza, la morte, l’oblio, le stelle. L’omicidio, il peccato, l’incesto, l’apocalisse. Ciò di cui scriveva Dante, insomma, le storie che stavano nella Bibbia, i personaggi che uscivano dalla penna di Shakespeare e Dostoevskij, la tragedia greca. In altre parole: le trame più magnifiche - come la seta e l’oro - e dolorose - come i capelli e la pelle umana - della storia.
Se mi hai seguita bene fin qui, dunque, ora hai davanti agli occhi una pagina di Cormac McCarthy. E anche le altre a cui la devi accostare: quelli sono i suoi pari, quelli sono il suo orizzonte. Non Larry McMurtry, non Boccaccio, non Cervantes, non Tolstoj né la commedia greca: grandi eroi, per carità, ma troppo vicini all’uomo per poter parlare di loro e non con loro. Ogni epoca ha avuto bisogno del suo Sofocle, Cormac McCarthy è il nostro: le sue storie sono arcaiche e sono eterne, perché eterna è la sostanza che le abita e arcaico è il loro linguaggio. Nel senso più trascendentale del termine. Ma mi fermo qui, per ora. Mi fermo al trascendentale.
Dopo 16 anni dalla sua ultima opera, lo splendido The Road, 16 anni trascorsi nel deserto del Southwest americano, tra El Paso e Santa Fe, città della quale ha frequentato assiduamente il centro di scienza tanto da ritagliarsi un piccolo studio con il suo nome sulla porta, McCarthy, uno degli scrittori contemporanei sulla cui vita privata vige un serratissimo silenzio rotto soltanto da una manciata di sparute e magistrali interviste e ben più significativamente dai suoi libri, è tornato con un dittico letterario: Il passeggero e Stella Maris. Ambientata tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del Novecento, la storia che incornicia entrambi i libri - ma è raccontata soprattuto nel primo libro, il secondo è più un’appendice - è tanto semplice quanto, appunto, tragica: una sorella e un fratello, il loro amore impossibile, il suicidio di lei nella prima pagina, la fuga dalle tenebre di lui nei successivi dieci anni, le allucinazioni di lei nel suo ultimo anno di vita come un caleidoscopico flashback, la giostra di personaggi e paesaggi indimenticabili che accompagneranno lui senza però mai né salvarlo né guarirlo. Lui si chiama Bobby, lei Alicia. Entrambi di cognome fanno Western, perché McCarthy insieme alla loro tenebra racconta anche quella dell’Occidente americano, i cui traumi infatti ci sono tutti: la bomba atomica (a cui aveva lavorato proprio il loro padre), il Vietnam, l’omicidio di Kennedy. Ad accogliere le trame dei due protagonisti, infine, ci pensa un’America poco scritta, fatta di locali notturni, sanatori, baracche, acqua e neve: il sud di New Orleans e del Tennessee rurale e il nord di Chicago, del Wisconsin e dell’Idaho.
Bobby della tenebra conosce tante cose, in primis quella degli abissi: quando lo incontriamo lavora infatti come sommozzatore, sappiamo che prima ha fatto il pilota di Formula in Europa ma anche che fu costretto a smettere per un incidente mortale che lo lasciò in coma, lo saluteremo quando la fuga lo avrà consumato e la perdita anche. Alicia dell’oscurità conosce altrettante cose: lei compare nel primo libro (in brevi capitoli scritti in corsivo) attraverso le sue visioni, dialoghi nonsense con una creatura piccola e pinnata che si fa chiamare il Kid e tutte le sinistre coorti da vaudeville che questo si porta appresso, i ricordi dolorosi del fratello, la decisione di sospendere i medicinali che avrebbero dovuto tenere sotto controllo la sua schizofrenia.
Certo, perché gli eroi tragici si fanno carico dei nostri peccati ma non sono affatto come noi: sia Bobby che Alicia sono eccezionali. Sono dei geni. Conoscono la fisica e la matematica, conoscono la musica e la letteratura, lei soprattutto conosce la bellezza, quella bellezza che cambia le sorti del mondo, come bella era Elena. Ma entrambi conoscono le conseguenze di questa conoscenza, conseguenze rivelate con ben più intensità nei sogni e nelle discussioni filosofiche (che tanto abbondano in questo romanzo) che non attraverso Dio o la conciliazione o l’assoluzione (che infatti sono assenti). E che cosa sono, in ultimo, la parola, la letteratura, la matematica, i sogni e la filosofia se non gli strumenti, i linguaggi che possediamo noi umani per trascendere la nostra realtà e avvicinarci a quella divina, la realtà senza tempo e senza spazio al cui confronto ogni giorno cerchiamo di sottrarci ma a cui, nondimeno, tendiamo?
Ecco, allora è questo il trascendentale di Cormac McCarthy: un piacere mistico nella lettura, un gesto metafisico nella scrittura, un incontro sublime tra noi e i suoi personaggi. Ovunque essi si trovino: in uno scenario western, dopo l’apocalisse, negli abissi del Golfo del Messico, nella sinuosità di una mente geniale (ed è qui che infatti ci diamo appuntamento per il secondo libro del dittico, Stella Maris).
La bellezza ha il potere di suscitare un dolore inaccessibile ad altre tragedie. La perdita di una grande bellezza può mettere in ginocchio un’intera nazione. Nient’altro può farlo.
Ho sempre amato Cormac McCarthy perché nel suo chiamare le cose con il proprio nome è tanto ardito quanto umano. E anche perché così facendo crea figure letterarie indimenticabili, come queste:
Debussy e Kline: lei una splendida donna trans, amica e ultima confidente di Bobby (dicevano che McCarthy non sapeva scrivere le donne, con questa ha veramente zittito tutti), lui un investigatore privato che incarna il paradosso della speculazione: tante parole e nessuna azione;
i luoghi descritti quando c’è Bobby dentro: la piattaforma nella tempesta, la baracca sulla spiaggia, la sua stanza con il gatto nel Quartiere Francese di New Orleans (grande protagonista del romanzo), il mulino a Formentera, la casa diroccata nell’inverno dell’Idaho;
il passeggero, infine, che è una persona mancante su un aereo precipitato negli abissi e per il quale Bobby verrà ricercato, ma è anche il Kid che si presenta alla mente di Alicia in autobus e forse - forse - chiunque scelga di imbarcarsi in questo incredibile viaggio, affidando a questi personaggi, al loro autore e a questa trama ogni sicurezza. Cioè noi.
Grazie per avermi letta o ascoltata fin qui oggi. Tenevo moltissimo a questa newsletter: Cormac McCarthy è il mio scrittore preferito e le sue opere non sono facili. Né da leggere, né da elaborare: per la verità, questa seconda cosa non finisce mai. Ed è per questo motivo che è il mio preferito: lo specchio dentro il quale ci fa specchiare è incandescente e non ha fondo. Mi sono presa un paio di giorni in più, allora, per poter fare un lavoro anche solo minimamente alla sua altezza. Spero ti sia stato, se non utile, almeno gradito. Se vuoi comprare Il passeggero in italiano, qui c’è un link affiliato di ibs.it: tu lo paghi al prezzo normale, a me arriva una percentuale minima. Grazie. Ci sentiamo tra due sabati!
Ma come sempre, prima di chiudere la parola va ai consueti aggiornamenti, uno dei quali riguarda ancora McCarthy (a vostra richiesta, a dire il vero).
Che la festa cominci!
Come scrivevo nella scorsa newsletter, il 2-3 settembre festeggiamo i 10 anni della McMusa: un traguardo professionale che ho scelto di celebrare con Babelica, mia collaborazione storica, e con chi di voi vorrà unirsi per un weekend di storie americane nello scenario suggestivo della Certosa di Avigliana, in Piemonte. La festa comprende tutto: dormire, mangiare, musica e ovviamente tanta, tanta letteratura da vivere insieme. Più di metà dei posti è stata già occupata: al momento ne restano circa una ventina, in camera doppia. Se vuoi fermare il tuo ti consiglio di farlo in fretta, da qui (dove puoi leggere anche tutti i dettagli dell’iniziativa). Ti aspetto!
Totalmente on fire
Gli appuntamenti di LIT, il bookclub della McMusa che deve il suo nome proprio al carattere acceso ed eccitante dei libri che discutiamo insieme, sta diventando una vera e propria bomba. Siamo al quarto appuntamento e siamo tutti e tutte sempre più entusiasti: grazie a chi ha deciso di partecipare, l’atmosfera inclusiva e rilassata che si respira ogni volta è davvero rigenerante!
Sono certa che sarà così anche quando leggeremo Il passeggero e Stella Maris di Cormac McCarthy. Perché sì, accadrà. Probabilmente a ottobre, dopo che in Italia sarà uscito anche il secondo volume del dittico. Potrà essere quella, quindi, l’occasione giusta per accontentare le tante persone che in questi giorni mi hanno chiesto una mano con i libri del nostro: più di altre volte, infatti, userò lo spazio appropriato del bookclub (migliore dei social e anche di questa newsletter) per offrire un contesto e degli strumenti con i quali leggere e apprezzare al meglio l’immensa opera di questo autore. Che, ripeto, non è facile e non deve esserlo.
Ad aprile abbiamo letto Afterparties, la raccolta di racconti di Anthony Veasna So; a maggio leggeremo Mississippi Solo, il libro autobiografico di Eddy L. Harris. Per partecipare agli incontri che verranno ma anche recuperare tutti quelli già fatti, puoi passare da qui: c’è spazio per tutti e tutte! E, di nuovo, io ti aspetto.
Adesso ho finito per davvero: a presto e ciao!