La natura negli Stati Uniti è una cosa seria. Non soltanto perché è immensa (immensa in un modo che chi vive altrove non può comprendere finché non ne fa esperienza) ma anche e soprattutto perché è viva, complessa e sublime. Sublime per come lo si intendeva ai tempi del Romanticismo: non in senso estetico bensì in senso poderoso. La natura schiaccia, è sovrastante e temibile, soprattutto se a misurarsi con lei è l’uomo. Piccolo, limitato, fragile.
Al suo cospetto, infatti, si può perdere la ragione, ci si può comportare in modo sbagliato, ci si può sentire potenti o competenti dimenticando che non lo si è in alcun modo.
Ma c’è di più: negli Stati Uniti la natura (e il suo potere) ha anche un valore culturale. Il Paese ha infatti costruito la propria identità nella contrapposizione tra civilizzazione e natura selvaggia, ovvero civilization vs wilderness. Questa è una delle prime lezioni che si apprendono in letteratura, ad esempio: la mitologia del West nasce nel confronto e nell’addomesticamento di uno spazio cosiddetto selvaggio, dove le leggi che regolano la società non valgono e quindi bisogna o farle valere o almeno imparare a conviverci. Gomito a gomito. Ancora oggi. Con i puma e gli orsi che scendono delle colline e vanno nelle piscine delle case, con i venti che galoppano nelle Grandi Pianure creando ingestibili tempeste di sabbia o di neve, con le steppe che prendono fuoco e devastano intere città, con i deserti che inghiottono speranze e restituiscono cadaveri.
Tralasciando due enormi temi (su cui sono certa tu conosca le mie posizioni, ma su cui al momento non mi soffermo per ragioni di tempo) come il cambiamento climatico e lo sterminio di chi in quella natura selvaggia aveva trovato un equilibrio perfettamente sostenibile prima che ci provassero gli Americani, arrivo infine al tema di oggi introducendolo proprio da qui, dal West, da quegli 8 Stati dove si sta ancora cercando di bilanciare la convivenza di cui sopra e dove i centri abitati sono infinitesimali rispetto alle montagne, i canyon, i boschi, le mesas, le piane, le valli, i fiumi, le rocce in mezzo alle quali sorgono.
Il grafico che vedi qui sopra riporta la percentuale di chi, in ognuno di questi Stati dell’Ovest, in un recente sondaggio si è detto contrario ai tagli che l’amministrazione Trump vuole apportare e di fatto sta già apportando agli enti federali (quindi dipendenti da Washington e non dalle contee o dai singoli Stati stessi) che si occupano del territorio pubblico, ovvero dei parchi nazionali e di moltissima di quella wilderness che menzionavo prima. I risultati mi sembrano chiari: chi vive gomito a gomito con questo tipo di natura sa perfettamente che depotenziare le risorse destinate a quegli enti e quindi a quella convivenza è un errore.
E pensare che Trump l’ha chiamata “la rivoluzione del buon senso”.
Scendo più nel dettaglio. Da quando Donald Trump si è insediato per la seconda volta alla Casa Bianca un mese fa, una delle sue priorità è stata rivedere i conti pubblici falciando i fondi a favore di diversi enti, organizzazioni, agenzie che, sul territorio statunitense e all’estero, si occupano di ambiente, sicurezza, salute, solidarietà, assistenza, formazione, previdenza, integrazione e ricerca. Per fare questo ha creato un dipartimento apposito che sicuramente avrai già sentito nominare, perché è quello capeggiato da Elon Musk, il cosiddetto DOGE (Department of Government Efficiency). Per fare questo, ancora, ha cominciato a licenziare grandi numeri di persone, tra cui - e qui torniamo al nostro tema di oggi - più di 1000 ranger operativi nel National Park Service e circa 3400 persone della Guardia forestale (devi però considerare che questi numeri sono provvisori e potrebbero già essere cresciuti quando tu riceverai questa newsletter, si sta procedendo a ritmo speditissimo).
Da un giorno all’altro - a volte con un preavviso di appena 30 minuti e quasi sempre tramite mail spedite a ogni ora del giorno e della notte - migliaia di persone hanno perso il proprio lavoro e allo stesso tempo, come dice il ranger dell’Iowa che vedi lì sotto, l’intero Paese ha cominciato a perdere un pezzetto dopo l’altro del suo già precario equilibrio con la natura circostante.
Cosa fa, infatti, un ranger o un’impiegata del National Park Service o un funzionario della Guardia forestale? Oltre a intervenire durante le emergenze (incendi, frane, flash flood, persone scomparse… e ce ne sono tantissime) e a occuparsi della gestione del territorio in senso concreto (traccia i sentieri, sgombra il letto dei fiumi, monitora il passaggio dei predatori, gestisce la caccia e la pesca e i campeggi, protegge la vegetazione dai vandali… e anche di questi ce ne sono tantissimi), fa una cosa fondamentale, anzi due: educa e media. Educa i visitatori ad avere contezza dei propri limiti, dei pericoli del luogo in cui si trovano, degli elementi con cui avranno a che fare quando spariranno tutti i consueti punti di riferimento (capita molto più sovente di quanto pensi) e dei comportamenti da osservare. Offre inoltre la propria competenza maturata in anni di studi ed esperienza a chi non ce l’ha, raccontando la storia e le caratteristiche dei luoghi interessati e mettendosi al servizio della pacifica e protetta convivenza tra i due mondi che ha imparato a conoscere e governare.
Un lavoro che - lo si può immaginare! - per molti e molte ha rappresentato un omaggio al proprio Paese, oltre che un progetto coltivato sin dall’infanzia. Un lavoro che oggi tante persone sono però costrette ad abbandonare (perdendo così sia lo stipendio che l’assicurazione sanitaria, un dettaglio su cui è importante insistere) senza aver fatto nulla per meritarsi un licenziamento o una sospensione dell’incarico, anche fosse stagionale. Così come è capitato ad altre migliaia di colleghe e colleghi impegnati in altri incarichi pubblici, come puoi ascoltare direttamente dalle loro voci raccolte in questa puntata di The Daily, il podcast quotidiano del New York Times (c’è anche la versione testuale qui): spoiler, fa arrabbiare.
È da qua che ho tratto il titolo paradossale di questa puntata di Sogni Americani. Mi sento di dire che ne seguiranno altre anche in futuro: se tutto va bene nei prossimi tempi avrò io stessa l’occasione di vedere gli effetti di questi tagli in alcuni parchi nazionali degli Stati Uniti. O, come si sospetta, le conseguenze ancora più acute del negazionismo climatico e dello sfrenato sfruttamento del territorio per l’estrazione di risorse, incluso quello pubblico.
Senza contare l’aspetto umano più urgente: dove si ricollocheranno tutte queste persone che hanno perso il lavoro?
L’ultima settimana
Prima di dare notizia degli appuntamenti futuri, vorrei prendermi un minuto per onorare quello appena terminato: il corso online Terra di incanti sul New Mexico. Vorrei ringraziare veramente di cuore le 90 persone che si sono iscritte e che mi hanno dato fiducia, seguendomi per cinque settimane, senza sapere molto su cosa avrebbero scoperto di lezione in lezione: questo è stato il corso per cui ho studiato di più in assoluto in tutta la mia carriera. Sia perché l’ho investito di un senso etico che gli altri corsi avevano, sì, ma in misura minore, sia perché i libri, i temi e i personaggi del New Mexico non hanno alcuna diffusione nella nostra cultura. Sono pressoché sconosciuti e vanno scovati, selezionati, analizzati e divulgati in una luce quasi del tutto nuova. Se infatti pensi che il New Mexico sia Breaking Bad, be’, no. Il New Mexico è cultura pueblo e navajo, rinascimento ispanico, avanguardia pittorica e femminile.
Il corso tornerà disponibile on demand più avanti, insieme ad altri percorsi online del progetto Maps of America, in collaborazione con l’associazione culturale Babelica. Comunicherò tutto in questa newsletter più avanti. Intanto, ancora grazie a chi ha partecipato.
La settimana passata ha avuto altri tre momenti particolarmente belli.
L’incontro con due classi di una scuola superiore di Milano, dove ho raccontato ai ragazzi e alle ragazze il mio percorso professionale e alla domanda “non ha mai pensato di mollare?” ho risposto con Vasco: sì certo, molto più spesso di quanto chiunque possa immaginare, ma alla fine non mollo mai semplicemente perché “mi piace studiare”.
L’intervista con Newzgen, un canale di informazione rivolto ai più giovani: insieme abbiamo fatto il punto sul cambiamento che stanno vivendo gli Stati Uniti e su alcuni interessanti nodi socioculturali del Paese. Una chiacchierata estremamente piacevole, che spero di ripetere ancora.
Tre volontarie del Patto di Milano per la Lettura ad alta voce stanno leggendo il mio memoir Sparire qui ad alcun* ospiti della RSA Saccardo. Basterebbe già questo per commuoversi, ma siamo andate oltre: venerdì scorso mi sono collegata con loro durante una delle sessioni di lettura ed è stato un regalo. Per loro e (moltissimo) per me.
Ah, mentre la mia socia Valeria Sesia lavorava a Sanremo, abbiamo affidato la sua newsletter Mac&Cheese alla penna acuta e mai banale di Luciana Grosso: volevamo fare un affondo nell’attualità politica degli Stati Uniti e grazie a lei ci siamo riuscite nel migliore dei modi.
Appuntamenti
Per non perdere il ritmo dei mercoledì, il 26 febbraio il bookclub LIT si riunisce per commentare insieme la lettura del mese: la raccolta di racconti Donne difficili di Roxane Gay. Puoi unirti a noi da qui (e recuperare anche tutte le puntate precedenti).
Giovedì 27 febbraio sarò a Milano ospite dell’associazione culturale Don’t Get Me Wrong (che mi ha fatto una bellissima impressione, complimenti ragazzi!) a parlare di temi americani: culturali, politici e di attualità.
Il 12 marzo alle 18 sarò invece alla Biblioteca Civica Battisti di Bolzano per un intervento su America reale e letteraria aperto al pubblico.
Il 29 marzo, infine, racconterò l’ideazione e l’esperienza dei Book Riders al Corso di formazione in Turismo letterario di Pistoia alle 16.
Seguiranno altre occasioni per vederci dal vivo in giro per l’Italia (e non solo).
Intanto Sogni Americani ti dà appuntamento tra due sabati, grazie di essere qui! Ciao.