Di leggere sul Pittsburgh Dispatch che le donne sono adatte principalmente a crescere i figli e badare alla casa, Elizabeth Jane Cochran non ha alcuna voglia. Eppure è quello che le accade intorno al 1885 quando, poco più che ventenne, deve ancora scrollarsi di dosso il soprannome Pinky che le hanno dato in famiglia perché veste sempre di rosa e, soprattutto, deve sottostare a uno stile di vita che non le piace affatto. Quello descritto nel pezzo What Girls Are Good For, appunto, che implica il totale sacrificio di ogni ambizione lavorativa e indipendente da parte delle ragazze (chiamate proprio così), in favore della casa, il marito, i figli. Virando allora su un nome di penna decisamente diverso da Pinky, Elizabeth risponde al Pittsburgh Dispatch esprimendo la sua idea senza abbellirla di alcuna convenzione del tempo e si firma Lonely Orphan Girl. Ragazza orfana e sola. Il direttore del giornale rimane talmente impressionato da questa risposta che chiede alla misteriosa ragazza orfana e sola di palesarsi e rivelare la propria identità.
Elizabeth lo fa e da quel momento proprio il tema dell’identità diventa una giostra per lei, a volte divertente, a volte agghiacciante. Dopo averla conosciuta, infatti, il direttore del Pittsburgh Dispatch le offre la possibilità di scrivere un pezzo sul suo giornale, sempre sotto lo pseudonimo di Lonely Orphan Girl: lei scriverà di donne, divorzio e salute mentale. Poi, la assume. Una volta assunta, dovendosi adeguare, in quanto donna, all’usanza del tempo di usare un nome di penna, Elizabeth sceglie quello della protagonista afroamericana di questa canzone della tradizione popolare americana. E diventa così Nellie Bly, giornalista, imprenditrice, viaggiatrice, pioniera, icona della storia degli Stati Uniti di cui questo 27 gennaio si è celebrato il centenario della morte.
Nellie Bly comincia la sua carriera di giornalista con il proposito di fare qualcosa che nessuna ragazza aveva mai fatto. E inizia presto: trascorre sei mesi come corrispondente del Pittsburgh Dispatch in Messico, criticando duramente sia le autorità messicane che gli stereotipi che i suoi compatrioti avevano dei Messicani in generale. Una volta tornata in Pennsylvania, però, viene confinata nuovamente a quelle aree del giornalismo che al tempo si ritenevano “adatte” alle donne: costume, gossip, moda, giardinaggio, arte.
Nellie si rifiuta di adeguarsi a questo genere di costrizione e lascia il Pittsburgh Dispatch. Lo lascia in favore di un’ambizione più grande. E dove può trovare casa quell’ambizione se non a New York? È il 1887: dopo numerosi rifiuti - è pur sempre una donna e il giornalismo vero a quel tempo, l’abbiamo capito, non lo fanno di certo le donne - va letteralmente a bussare alla porta di Joseph Pulitzer. Lui, quello del premio. Inattesa e non invitata, Nellie Bly va dall’allora direttore del New York World e gli propone un’inchiesta sotto copertura nel manicomio di Blackwell Island (quella che oggi è Roosevelt Island).
Pulitzer accetta.
La giornalista comincia così un’operazione di camuffamento della propria identità volta a farsi internare in quello che allora aveva fama di vero e proprio luogo di tortura per le donne, in cui si entrava e da cui non si usciva. E dove, per entrare, bastava che un marito o un padre volessero in qualche modo disfarsi di una moglie o una figlia non più desiderata o desiderabile. Nellie cambia pettinatura, inscena comportamenti apparentemente paranoici, si fa accettare per una notte in una casa di accoglienza chiamata Temporary Home for Females e qui, infine, spaventa il personale con false accuse e condotte ossessive. Visitata da un medico, un giudice e un poliziotto, viene giudicata un caso senza speranza e viene mandata dritta al manicomio di Blackwell.
Qui rimane dieci giorni. Ma gliene servono molti meno per capire cosa succede lì dentro: pazienti maltrattate, picchiate, malnutrite, legate, costrette a stare sedute per ore su panche rigide e gelide, lavate in vasche da bagno sudicie con acqua putrida. Nellie non finge più di essere pazza, si comporta in modo del tutto sano ma proprio questo suo comportamento la fa sembrare ancora più colpevolmente malata agli occhi delle inservienti. Parlando con altre pazienti, tuttavia, si accorge che anche loro sono state rinchiuse da sane e hanno perso la ragione lì dentro. Nel servizio che scriverà su questa esperienza, infatti, Bly giungerà proprio a questa conclusione: eccetto la tortura, cos’altro potrebbe far impazzire le persone più di questo trattamento?
Ten Days in a Mad-House, uscito in due parti sul New York World e poi pubblicato in forma di libro nel 1887, diventa così uno dei primi servizi d’inchiesta sotto copertura della storia del giornalismo americano - il primo per una donna - e Nellie Bly, pioniera, apre la strada all’investigazione giornalistica (in inglese: stunt reporting).
Ma non finisce qui!
Nel 1889 Nellie Bly si mette in viaggio per sfidare Jules Verne. E in effetti lo batte! Accompagnata solo da un abito, un cappotto pesante, un po’ di biancheria di ricambio e un beauty-case, la giornalista parte da Hoboken in New Jersey e compie un intero giro intorno al mondo - via nave e treno - facendo ritorno negli Stati Uniti dopo soli 72 giorni. Da sola. E tocca, durante il suo viaggio, anche l’Italia, a Brindisi. La sua impresa diventa talmente celebre al tempo che immediatamente un altro magazine, Cosmopolitan, manda una sua inviata a fare lo stesso (Elizabeth Bisland non riuscirà a battere Nellie Bly, però) e Jules Verne in persona la accoglie in Francia.
Ci sono infiniti libri che parlano delle avventure di questa incredibile donna, così come tantissimi video (a me è piaciuto questo) e film. Ho deciso di scrivere di lei, tuttavia, dopo aver scoperto il gioco in scatola che ripercorre il suo viaggio e aver pensato: quanto lo vorrei (è del 1890, la vedo dura)! Nellie Bly è stata una donna e una professionista talmente famosa che, come spesso accade nella realtà americana, ha trovato il suo posto nella pop culture e continua ad essere d’ispirazione così, sui tavoli di famiglia, nei doodle di Google, nelle packing lists, nei parchi delle città e nelle linee di battello a lei intitolati.
Oggi, però, mi piace omaggiarla per ciò di cui lei stessa andrebbe più fiera: aver fatto qualcosa che nessun’altra donna aveva mai fatto e - aggiungo io - aver permesso a moltissime donne dopo di lei di fare la stessa cosa. Come giornaliste, come viaggiatrici, come persone ambiziose, come professioniste.
Grazie per avermi seguito fin qui oggi, ci risentiamo domenica 27 febbraio (se tutto va bene) dagli Stati Uniti.
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Lunedì 31 gennaio sarò ospite di Wep per una carrellata di Americanate: stereotipi e miti americani da rivisitare. Puoi unirti anche tu, l’evento è online ed è free!
A marzo ripartono i Book Riders! Dimostrando grande ottimismo e fiducia, 8 persone hanno scelto di partire con me e Claudio di Xplore Tour Operator alla volta della CaliforNoir. Sono contentissima: dopo esattamente due anni, i miei tour letterari possono solcare di nuovo l’oceano!
E non è finita qui, anzi: abbiamo appena (ri)cominciato! Per Pasqua (14-24 aprile) è previsto un altro tour, per il quale ci sono ancora diversi posti disponibili: questa volta si va nel Pacific Northwest (Seattle + Portland + boschi e spiagge selvagge) sulle tracce di Raymond Carver, Chuck Palahniuk, Richard Brautigan e moltə altrə (come potrai immaginare c’è anche tanta musica). Scopri qui il programma!
Da questo gennaio il team McMusa cresce: ho arruolato proprio una Book Rider per affidarle una parte della mia comunicazione social e digital. Lei si chiama Ginevra Candidi, è ideatrice de Il lato b del marketing e queste sono le cose che mi hanno fatto decidere di lavorare con lei. Quello che vedi lì in alto è proprio uno dei primi contenuti realizzati da lei per il mio canale Instagram: trovi anche altre 4 risposte di altre 4 persone e alcune riflessioni on the road.
Ho potuto avvalermi della collaborazione di Ginevra (e già da qualche mese di quella di Valeria Sesia) grazie al supporto che ricevo tramite la membership. Ovvero, tramite i soldi che più di 180 persone tra di voi hanno scelto di dedicare al mio progetto. Recentemente le proposte di abbonamento a progetti editoriali di giornalistə, creator e divultatorə di diverso tipo stanno diventando sempre di più e stanno ricevendo sempre maggiore considerazione. Per me è stato un traguardo a cui sono arrivata per step e che, da sola, non avrei saputo individuare. Oggi che persino Instagram sta introducendo la possibilità di istituire delle membership a pagamento ho deciso di pubblicare sul mio blog un’intervista che spiega la mia posizione (tendenzialmente a favore) e un post che la completa. Dai un’occhiata se ti va: credo che i contenuti prodotti su e per il web meritino attenzione e sostegno da parte di chi ne fruisce.. sempre che il contenuto ci sia, ovviamente.