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Il voto latino non esiste
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Il voto latino non esiste

Un on the road inaspettato e illuminante con Héctor Tobar

Mi è capitato di far fare questo esercizio ai Book Riders in viaggio con me o alle persone iscritte a LIT, un esercizio che oggi propongo qui anche a te: se dovessi disegnare l’Americano o l’Americana tipo, come lo o la disegneresti?

Ti lascio un momento per pensarci (se ti va, puoi addirittura scriverlo nei commenti o disegnarlo proprio prendendo spunto da questo video).

Non è facile, vero?

C’è immediatamente un fatto a cui pensare, un fatto che noi, per nostro background culturale, diamo per scontato ma che scontato non è affatto: che sembianze ha? Se è vero che la maggioranza degli Americani è ancora bianca e caucasica (per poco, ad oggi è il 58,9%), non si può certo dire che esiste un modello più vero di altri per quanto concerne il colore della pelle e le sembianze fisiche del volto e del corpo: un Americano tipo può essere bianco, afroamericano, di provenienza ispanica, nativa, asiatica e - rendiamo tutto ancora più difficile ma sempre più autentico - mista. Il nostro esercizio è dunque fermo in partenza. O, meglio, pone noi di fronte a una scelta e, se fossimo in compagnia in una stessa stanza, a infinite discussioni sul significato del termine “tipico” o sul senso dello stesso termine “Americano”.

Esattamente il tipo di riflessione che mi interessa oggi. Oggi che gli Stati Uniti sono un paese sempre meno bianco (si stima che entro il 2050 le persone non bianche supereranno quelle bianche, soprattutto grazie all’afflusso delle popolazioni latinoamericane) e fare questo discorso ci mette davanti a una realtà in veloce e ribollente cambiamento e a questioni che, in ultimo, non sappiamo bene come maneggiare, a partire certo dall’immaginazione e dal disegno (che però ho usato come pretesto) ma ancor di più dal linguaggio.

Seguimi ancora in questo passaggio, allora.

Le persone che discendono dagli immigrati dell’America Latina, sono bianche o non bianche? Forse questo non lo sai* ma nel conteggio delle persone bianche spesso rientra anche una parte di chi ha una provenienza ispanica o latina: in altre parole, i cosiddetti Latinos non rientrano in automatico e in blocco nel conteggio della popolazione statunitense non bianca. Ma poi, è corretto chiamarle “Latinos” e, senza connotazione di genere, “Latinx”? Oppure sarebbe meglio “persone ispaniche”? Dando per assodato che sono Statunitensi in quanto nati e nate su suolo americano (e questo può piacere o no, ma resta un fatto), che per quantità e importanza culturale oggi sono esponenti a pieno titolo della definizione di Americano tipo, ma che - allo stesso tempo - provengono da tradizioni, storie e Paesi molto diversi gli uni dagli altri, ha senso infine pensarli e parlare di loro come una categoria uniforme e uniformata? Che è ciò in effetti spesso facciamo, soprattutto in contesti come quello odierno in cui li dobbiamo categorizzare come un pezzo dell’elettorato?

Risposta breve: no, per niente.

Risposta lunga: allacciati le cinture perché lo capiamo grazie a uno splendido on the road americano, capitanato da Héctor Tobar, uno dei più importanti scrittori contemporanei losangelini, autore de L’estate dei barbari (romanzo che ho apprezzato moltissimo, qui trovi un link affiliato da cui leggere la trama ed eventualmente acquistarlo offrendomi un caffè).

Proprio in seguito alle elezioni del 2020 e all’analisi dei risultati elettorali che avevano visto una numerosa componente dell’elettorato cosiddetto latino avvicinarsi sempre di più a Trump e mandare così ai matti chi aveva pensato che tutte le persone di provenienza ispanica votassero la stessa cosa (cioè i Democratici), Tobar decise di prendere la sua auto e percorrere nel concreto 9 mila miglia in lungo e in largo nel suo paese per capire chi fossero questi Latinos (di cui ovviamente anche lui, a rigor di logica, dovrebbe far parte viste le sue origini guatemalteche). Da un piccolo centro agricolo dell’Oregon alla contea di El Paso in Texas, dall’Idaho al New Mexico, da Little Havana a Miami a Spanish Harlem a New York, il suo viaggio, diventato poi uno splendido reportage per Harper’s, contea dopo contea, intervista dopo intervista, arrivò a confermare una vera e proprio contronarrazione, ovvero il presupposto di partenza: il voto latino non esiste. E non esiste perché, per prima cosa, non esiste un’etnia latina o ispanica, esiste una discendenza, una provenienza da posti diversi e, ovviamente, un’etichetta che altro non è se non finzione:

I numerosi dizionari inglesi che possiedo mi dicono che il termine “latino” si riferisce a una persona che ha radici in America Latina, ma si tratta di un vasto spettro di umanità: discendenti di più di una dozzina di paesi e territori; ebrei, cattolici, musulmani e mormoni; le persone con i capelli biondi e quelle con la pelle scura; persone la cui prima lingua potrebbe non essere lo spagnolo ma il quechua, il k'iche o anche l'inglese. È un termine così ampio che può significare quasi qualsiasi cosa e può sembrare vuoto per quelli di noi costretti a usarlo. Se chiedi ai cosiddetti latini qual è la loro etnia, di solito diranno qualcosa come “sono messicano” o “sono cubano” o utilizzeranno un qualsiasi altro termine che li possa identificare a livello nazionale o regionale.

Ecco, allora, che aspettative, retaggi culturali, priorità e dunque voti si frastagliano e cambiano a seconda della tua religione, ad esempio, o delle misere condizioni in cui sei costretto a vivere se lavori nell’agricoltura o delle tasse che non vuoi che ti vengano sottratte dai guadagni o, ancora, dell’immagine oscura che hai del Venezuela o di Cuba dai racconti di chi li ha lasciati prima di te o dalle immagini che ogni giorno mostra la tv. Per ognuno di questi casi c’è un incontro di Héctor Tobar con persone in carne e ossa e nomi propri: DeYapp di Tierra Amarilla in New Mexico, che è contro l’aumento del salario minimo voluto da Biden perché a suo parere porterebbe il suo negozio a dover pagare troppo i dipendenti e quindi chiudere; Romo e Antonia Morales di El Paso in Texas, che difendono la loro terra di confine a prescindere da ogni politica e non si definiscono immigrati bensì residenti transnazionali, fronterizos, gente di frontiera; Rolando Cortez di New York, che quasi aggredisce lo scrittore dicendo che Latinos nel Queens vuol dire una cosa e Latinos ad Harlem ne vuole dire un’altra.

Ci sono sogni americani che non possono prescindere da contraddizioni enormi, quindi, come quello infine di Gustavo che arriva dal Messico e oggi vive ad Atlanta: il suo business di costruttore di case, racconta, ha avuto un’impennata fortissima durante la presidenza Trump, ma a causa di quella stessa presidenza lui non è riuscito a tornare in Messico per assistere il padre morente. Odia Trump per questo? Niente affatto: era molto peggio, dice, quando c’era Obama. Le deportazioni per le persone senza documenti erano decisamente di più allora.

Foto di Armando Alvarez.

Like many other ethnic identities, Latino is a way of being that is grounded in suffering. To call yourself Latino is to resist assimilation, and to be conflicted about who you really are.

Viaggiare attraverso gli Stati Uniti, soprattutto quelli meno raccontati, è un antidoto imprescindibile contro l’omologazione. Alla fine del suo viaggio, è questo che Tobar rileva con più forza: essere Latino è un modo di essere fondato sulla sofferenza e questa è la sua unica costante. Io qui ho introdotto una piccola parte del suo reportage, ti invito però a dargli un’occhiata per intero, anche solo per scoprire le percentuali di voto Biden/Trump nei diversi posti degli Stati Uniti da lui toccati o per vedere che esistono luoghi dove la percentuale delle persone ispaniche è del 99%. Vorrei vedere a non considerarle a tutti gli effetti americane: dovresti radere al suolo interi quartieri, paesi, periferie.

Grazie per avermi seguita fin qui oggi. Tieni a mente questo discorso tutte le volte che, da ora in avanti, sentirai parlare di elettorato latino o ispanico! E non lasciare questa newsletter, sotto trovi molti altri contenuti.

*è un discorso interessantissimo e complesso, di cui pochissimi tengono conto in Italia, ma se ti interessa qui trovi il punto giusto da cui partire.


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    Grazie ancora. Ci sentiamo tra due sabati, ciao!

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