Sogni Americani
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Una notte al rodeo
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Una notte al rodeo

Ma non quel modesto evento di provincia a cui stai pensando

Di tutti e 50 gli Stati Uniti non ne esiste uno che non abbia il rodeo. Se è vero che in alcune contee o città è stato vietato o limitato in qualche sua competizione, è altrettanto vero che nella maggior parte del paese il rodeo rappresenta un rito decisamente sentito, irrinunciabile, un rito fondatore, e che alcuni stati l’hanno persino eletto a proprio sport ufficiale. Tra questi ci sono il Wyoming (il cui soprannome è Cowboy State, la coerenza in questo caso è lampante), il South Dakota e il Texas. Proprio lo stato in cui mi trovo io in questo momento, proprio nel mese di marzo che è considerato il mese del rodeo, proprio nella città che ospita il più grande rodeo non solo del Texas, non solo degli Stati Uniti ma dell’intero pianeta: Houston.

Associata al settore della ricerca medica e aerospaziale nonché a quello della produzione di energia, non è immediato pensare che Houston, la quarta città d’America per dimensioni ma la prima per diversità etnica dei suoi abitanti, sia oltre che una potente capitale dell’economia occidentale anche la capitale di una cerimonia che, attraverso tantissimi elementi diversi, celebra il legame atavico e identitario che la società americana ha con la terra che la ospita e la mantiene, con gli animali che su questa terra alleva e con cui divide la vita quotidiana. Eppure è così: negli Stati Uniti lo Houston Livestock Show and Rodeo è considerato il cavallo di battaglia della città, la cosa per cui vale la pena venire qui, il grande evento a cui si partecipa collettivamente al pari del Mardi Gras per New Orleans o del Comic-Con per San Diego.

Innanzitutto perché il rodeo per come lo immaginiamo noi non è che una minima parte di questa manifestazione: prima di vedere qualche ragazzo cavalcare un toro c’è molto, molto altro da fare. C’è molto da camminare, ad esempio: per prima cosa, infatti, devi cercare di padroneggiare le proporzioni del rodeo di Houston, una cosa non facile per chi vive in Italia ma essenziale per comprendere la portata culturale ed economica di questo evento. Prendi dunque San Siro, il nostro stadio più imponente con tutti i suoi piazzali e parcheggi annessi, e posizionalo nella tua immaginazione tra l’Arena di Verona, l’autodromo di Imola e piazza Vittorio Veneto a Torino. Il risultato è approssimativamente tutta l’area che accoglie l’NGR Stadium di Houston, dove avviene la ciccia dell’evento, e le altre numerose strutture (padiglioni, stadi, arene, malls, parchi, stradoni), dove invece avviene tutto il resto. E il resto è un elenco di attività tanto tradizionali quanto fantasmagoriche per dimensioni e carica pop che qui acquisiscono.

In primis, ci sono giostre di ogni genere, il cosiddetto Carnival. Dall’ottovolante alla ruota panoramica, dal brucomela a tutte quelle cose torcibudella (così le definiva splendidamente David Foster Wallace) che sfruttano ogni genere di spinta gravitazionale o forza centrifuga o vettore aereodinamico per farti assaporare il gusto di essere in vita in tutta la sua fragile pesantezza, si estende a perdita d’occhio un tripudio di musichette e luci al neon che dispiega il meglio del concetto basilare del luna park, corredato ovviamente da chioschi dove mangiare schifezze golosissime come gli Oreo fritti, stand dove cercare di vincere un pupazzo gigante attraverso sfide razionalmente impossibili da portare a termine, cabine dove farti leggere il futuro o lunghe seggiovie volanti da cui guardare comodamente il tutto. La stessa cosa vale per le zone dove viene venduto il cibo o dove viene proposto shopping di ogni genere: sono mastodontiche ed elettrostatiche, basta metterci un piede dentro per desiderare improvvisamente ogni cosa o sparirci dentro. Sono fatte apposta.

Molto più interessanti per i nostri scopi, tuttavia, sono i padiglioni e le aree in cui finalmente si manifesta in tutta la sua potenza quel legame primordiale tra civiltà e natura che dà origine al rodeo stesso: le esposizioni, le aste e le sfilate dei capi di bestiame, le competizioni in cui sono coinvolti gli animali (e che spesso includono bambini e ragazzini) e tutti quegli affari legati all’agricoltura e all’allevamento che si fanno tra esseri umani. Non bisogna fare l’errore di pensare, però, che ciò che avviene lì dentro sia solo spettacolo: nonostante l’elemento dell’intrattenimento sia pervasivo e coinvolga ogni dettaglio dell’evento, ciò che avviene in questi padiglioni e in queste aree è reale, è commercio, è vera relazione. Stetson e altri cappelli da cowboy fluttuano all’altezza del tuo sguardo, rivelando un mondo di uomini e donne (ma soprattutto di uomini) in cui il rapporto con la terra ha davvero qualcosa di religioso e sacro, qualcosa che fa rimpicciolire all’istante qualsiasi dubbio tu possa nutrire sulla moralità o l’immoralità della sua stessa esistenza.

Sentimento, questo, con cui ti trovi a fare i conti quando poi entri finalmente nello stadio e la cerimonia vera e propria ha inizio, ad un volume e a una dimensione realmente impressionanti. L’NGR Stadium ha una capienza di circa 69mila persone e l’altra sera eravamo in 67mila. Alle 18.45 cominciano di solito le gare (le discipline sono diverse, le puoi vedere nel video sotto, ti consiglio con il cuore almeno di scorrerlo) e alle 20.45 il concerto: dopo che in quella gigantesca arena si sfidano vitelli e cowboy, tori e rodeisti, cavallerizze e cavalli, clown e carri, infatti, un enorme palcoscenico a forma di stella (il Texas viene chiamato anche Lone Star State) fa la sua comparsa al centro dell’arena e sopra ci salgono i più grandi musicisti della tradizione pop, country e rock degli Stati Uniti. Si sono esibiti qui da Bob Dylan a Beyoncé, da George Strait a Taylor Swift, da Willie Nelson a Selena Gomez. Il tutto dopo che sotto i tuoi occhi la forza dell’uomo ha cercato di misurarsi in tutti i modi con quella delle bestie che quello stesso uomo, l’uomo della campagna e dell’allevamento, conosce meglio di tutte e con cui ogni giorno lavora (tori, cavalli, pecore, vacche e vitelli), unendo in quella sfida equilibrio, velocità, maestria e potenza. E, non ultima, anche una controversa forma di rispetto verso la forza delle bestie di cui è innegabile percepire la presenza sebbene sia impossibile comprenderne pienamente i confini.

Dal 1931 ogni anno a marzo, per 20 giorni consecutivi, uno spettacolo incredibile prende forma a Houston e forse la cosa più sorprendente è quella che ancora non ho scritto: tanti sono i soldi che questo evento produce quanti sono i soldi che questo evento restituisce. La muscolarità penetrante di cowboy, pubblico, investitori, atleti e allevatori contagia anche quella di donatori e donatrici (che spesso coincidono): ogni anno, infatti, in occasione del rodeo si raccolgono cifre stratosferiche (e con stratosferiche intendo centinaia di milioni di dollari) da trasformare in borse di studio per ragazzi e ragazze che ne hanno bisogno. A una condizione, però: che le usino per frequentare scuole, college e università del Texas! E ci mancherebbe.

Grazie per avermi letta fin qui oggi, ci sentiamo tra due settimane: ho in mente di raccontarti un’altra storia legata a questa città, vediamo se ci riesco! Intanto, però, farò un piccolo reportage video sul mio profilo Instagram dove poter vedere e rivivere alcune delle cose del rodeo che ti ho raccontato qui: tienilo d’occhio.


Il viaggio in Texas continua

Come scrivevo sul mio vivace canale Telegram qualche giorno fa, la possibilità di essere qui a Houston mi viene data in primis dalle persone che ogni giorno scelgono di supportare il mio lavoro attraverso la membership. È il minimo, allora, che io faccia davvero la reporter sul campo raccontando alcuni dei risultati di queste lunghe trasferte: oltre ad essere terribilmente appagante dal punto di vista professionale è anche un modo per restituire il valore di quel supporto, farlo diventare reale, tangibile, trasformarlo in un mondo in cui viaggiare e immergersi insieme, per davvero. Lungo preambolo, questo, per dire che il viaggio in questo Texas contemporaneo non termina con questa newsletter, anzi! Siamo solo all’inizio.

  • È uscita la terza puntata di Miglia, il podcast di esplorazione e racconto on the road degli Stati Uniti riservato alle persone abbonate: dopo Arcola in Illinois e Los Angeles in California, questa volta ho scelto di andare a Galveston, in Texas appunto. Un luogo gotico, itterico, misterioso e importantissimo. Spero tu voglia scoprire il perché: è una storia piena di curiosità!

  • Il prossimo appuntamento di LIT - il bookclub della McMusa sarà il 27 marzo alle 18.30 e non poteva che vertere sul Lone Star State: il libro scelto per questo terzo dibattito è infatti Dio salvi il Texas del giornalista premio Pulitzer Lawrence Wright (c’è anche l’audiolibro su Storytel). Sento già che sarà bellissimo: discuteremo, ci confronteremo, emergeranno sorprese e grandi passioni. Se di solito è già così, parlare di Texas renderà tutto più grande, com’è giusto che sia. Se ti va puoi iscriverti qui. Qui sotto, invece, le impressioni dello scorso appuntamento.

    A post shared by Marta Ciccolari Micaldi (@la_mcmusa)

In America, con la pistola

Mentre ero ancora in Messico in vacanza, è uscito il quinto numero di Cose spiegate bene, la rivista de Il Post dedicata ogni volta a un tema diverso da approfondire e conoscere nelle sue più profonde e diverse declinazioni. Questo numero parla di geografia e dentro ci trovi anche un mio pezzo, se ti va di leggerlo lo trovi qui.

Ci sentiamo tra due settimane, ciao!

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La newsletter quindicinale di Marta Ciccolari Micaldi, aka La McMusa.