Sogni Americani
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Persone sporche, violente, povere e ignoranti
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Persone sporche, violente, povere e ignoranti

Siamo noi

C’è stato un tempo - un tempo che iniziava meno di un secolo fa - in cui il sogno americano più classico - quello di una terra promessa in cui lavorare sodo per conquistarsi un futuro migliore - era (anche) il sogno italiano: dal nostro paese partivano decine, centinaia di migliaia di persone che, spinte da bisogno e intraprendenza, si insediavano negli Stati Uniti e cominciavano lì una nuova vita. Questa nuova vita era fatta di sentimenti diversi per ognuna delle persone sbarcate oltreoceano, ma si delineava collettivamente secondo delle dinamiche senz’altro comuni: ricerca di lavoro, costruzione di un’identità comunitaria forte, tentativi di integrazione con le altre comunità arrivate da lontano, scommesse con il destino e scommesse alle bische, matrimoni esasperati e famiglie numerose da tenere insieme, confronti con la legge, ricette da tramandare, traguardi raggiunti e altri da perseguire, discriminazione.

La vita degli Italiani e delle Italiane immigratə negli Stati Uniti nel Novecento e della comunità italoamericana a cui, di conseguenza, diedero vita è stata raccontata in tantissime storie. Dal cinema alla letteratura, dalla televisione alla musica. Queste storie tuttavia per lungo, lunghissimo tempo, un tempo che arriva spaventosamente fino a oggi, sono state costruite su idee e stereotipi difficili da digerire. A fronte di una varietà impressionante di vite e destini, di scelte e di intrecci, quando si vogliono delineare i tratti comuni di una comunità spesso accade che quella varietà finisca per appiattirsi su due o tre elementi dominanti. Nel nostro caso: la violenza e la mafia (siamo noi i Soprano, siamo noi Al Capone, siamo noi Il Padrino), la sporcizia (siamo noi i quartieri più degradati del Bronx negli anni Cinquanta), la povertà e l’ignoranza (siamo noi i ragazzi e le ragazze del reality show Jersey Shore). Spesso, inoltre, quando è stato necessario forgiare su di noi anche un certo tipo di messaggio politico e sociale chiaramente razzista, siamo statə consideratə persone non bianche, persone povere d’intelletto (come lui, ad esempio, che però se ne fregava), persone indesiderabili, persone maleodoranti.

Credo tu abbia capito dove voglio arrivare, no? Queste storie sono vere solo in parte e lo sono solo se raccontate nel modo giusto; è pieno zeppo di persone italoamericane che si discostano da tali stereotipi e altre che li rispecchiano in pieno ma non esauriscono certo la loro personalità in due o tre tratti dominanti, come fossero figurine. Facendo un doveroso passo in più, questi che ho elencato sono stereotipi che si applicano, con le giuste modifiche ma sempre la stessa intenzione razzista, a praticamente tutte le comunità di immigrati. Non ti suona? “Sono delinquenti, rubano il lavoro, puzzano.” Certo, quando riguardano la stessa comunità a cui appartieni tu fa un po’ più male e forse dovremmo ricordarcelo quando si parla di immigrazione.

Qualche ora fa ho terminato di leggere Aspetta primavera, Bandini, il romanzo d’esordio dello scrittore italoamericano John Fante, di cui qui sopra vedi il trailer dell’adattamento cinematografico presentato da un altro grandissimo artista italoamericano, Francis Ford Coppola (il film oggi è su Netflix). Il libro di Fante è avvincente, ruvido, sensuale, immorale, doloroso. Le sue pagine raccontano uno spaccato di vita della famiglia Bandini, famiglia ovviamente immigrata di cui Svevo è il padre e Maria è la madre, in un modesto paesino del Colorado che rispecchia Boulder negli anni Trenta del Novecento. Qui i due genitori e i tre figli maschi - tra cui spicca la prospettiva di Arturo, l’alter ego dello scrittore nonché il personaggio che lo stesso Fante farà crescere in tutta la sua opera rendendolo un vero e proprio eroe della letteratura americana - vivono una quotidianità tanto misera sul piano materiale quanto ricca e complessa su quello emotivo, spirituale e relazionale: Svevo, il padre, fatica a trovare un lavoro stabile e remunerativo (e in questo il Colorado non aiuta, la sua neve è uno degli ostacoli principali); Maria, la madre, si deve occupare della casa e dei figli ma anche del peso sociale della povertà, delle compere a debito dal droghiere, degli sguardi dei vicini, del carbone da razionare; Arturo, il maggiore dei tre fratelli, è alle prese con un’ammirazione sconsiderata per la figura paterna, una commiserazione perturbante nei confronti della madre e un amore impossibile per Rosa Pinelli, un’altra ragazzina di origini italiane, sua compagna di classe. Gli ingranaggi della trama cominciano a stridere furiosamente quando Svevo conosce un’altra donna, Maria si avvinghia al suo rosario in una trance di dolore e abbandono, Arturo diventa ladro, violento, vendicatore e reo confesso tutto in una volta.

Gli stereotipi ci sono tutti e, forse ti spiazzerò come sono rimasta spiazzata io, leggere oggi questo romanzo significa anche tollerare sulla pagina azioni di violenza e manipolazione maschilista francamente inaccettabili. Eppure, hai letto come ho definito questo romanzo poco sopra: avvincente, ruvido, sensuale, immorale, doloroso. Non semplice né facile, e questo fa tutta la differenza del mondo.

Lo rileggerei mille volte - e sono qui a consigliarlo a te - perché i suoi personaggi sono complessi, foschi e compassionevoli come lo sono gli esseri umani; perché non emerge mai l’intenzione di togliere la complessità morale dei personaggi per sostituirla con l’appagamento della morale fine a se stessa; perché è innegabile che quegli uomini sono italiani ma la loro ricerca della felicità li rende universali, tanto nella dolcezza quanto nella violenza, tanto nella disperazione quanto nella fede, tanto nel tradimento quanto nella consolazione.

Tra qualche giorno porterò questo romanzo di Fante con me proprio a Boulder, tappa del tour dei Book Riders Colorado Roots, in partenza a fine mese. Se sono stata abbastanza brava nel farti intuire il valore di questa opera, non ti stupirà sapere che Aspetta primavera, Bandini farà il paio con un’altra storia ambientata proprio da quelle parti: Shining, di Stephen King. Nella comparazione tra le due opere e i due luoghi, verrà fuori che la matrice “etnica” nel caso di Fante e quella “orrorifica” nel caso di King sono fondamentali nel connotare le due trame e nel consegnarle a imperitura memoria. Eppure al centro di entrambe c’è una e una cosa soltanto: la famiglia, l’isolamento e il rapporto con l’immagine che abbiamo di noi stessə. Per la salute di tuttə, dentro e fuori dai libri, conviene che sia il meno stereotipata possibile.

Grazie per avermi seguita fin qui oggi. Se ti va di comprare il romanzo di John Fante, ti invito a farlo da questo link: tu paghi la stessa cifra e a me arriva una piccola percentuale utile a sostenere le spese di questa newsletter. Ci sentiamo tra due sabati, come al solito! Oppure anche prima dai suggerimenti qui sotto.


Marta dietro La McMusa: questa intervista ha già riscosso grande successo, ma la ripropongo anche qui perché sono davvero grata ad Andrea Mareschi, ideatore e curatore del podcast A proposito di, per il grande lavoro che ha fatto. Davanti e dietro il microfono!

A post shared by Andrea Mareschi (@andreamareschi)

Tra meno di due settimane riparto per il Colorado, dove finalmente daremo vita al nuovo tour dei Book Riders di quest’anno! Sono molto emozionata, oltre che tremendamente indietro con i preparativi. Se vuoi un assaggio al giorno del nostro viaggio, ti consiglio sempre il mio canale Telegram: vivace, ben popolato e pieno di energia positiva (anche quando sono in Italia eh!).


Ora che le vacanze sono davvero finite, se vuoi continuare a viaggiare negli Stati Uniti puoi farlo attraverso due miei corsi on demand (video e podcast): Once Upon a Town e American Sueños. Le info sono tutte qui, ma magari vuoi prima farti suggestionare da questo bell’invito.

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Gli Stati Uniti raccontati dalle persone, dai luoghi, dai libri.
Dai risvegli.
La newsletter quindicinale di Marta Ciccolari Micaldi, aka La McMusa.