A differenza di altre zone della California e dell’intero paese, a Salinas non si può dormire in macchina. Né sul suolo pubblico né nei parcheggi dei grandi supermercati, parcheggi che sono talmente grandi che ci si potrebbe costruire sopra almeno un condominio. Implacabile ironia della sorte quando proprio un condominio, una casa, è ciò di cui Candido e Brenda avrebbero tremendamente bisogno.
Da qualche settimana Candido e Brenda vivono nella propria automobile insieme ai tre figli, tutti sotto i 10 anni: dopo aver tentato di trascorrere la notte nel parcheggio di un grande magazzino ma essere stati premurosamente avvisati da un lavoratore del posto della possibilità di venire aggrediti e derubati da altri disperati della zona, la famiglia ha trovato temporaneo approdo nel parcheggio di un ospedale. Il personale del pronto soccorso è gentile, ci sono bagni e docce che possono usare tutti i giorni prima di andare a scuola o a lavoro, la notte è fredda ma serena.
È il 2019, Candido e Brenda sanno che non potranno vivere in macchina in eterno, ma il loro lavoro - sono entrambi impiegati in un’azienda alimentare e agricola del posto - non basta: sono arrivati qui dal Messico pensando che la storia del duro lavoro come motore del sogno americano fosse vera, hanno scelto la Valley that feeds the nation (la valle che nutre la nazione), come viene chiamata questa zona della California, per metterlo alla prova e darsi da fare, ma la mattina si svegliano pieni di dolori e paure su una Toyota Senna del 2007 e l’unico orizzonte che vedono davanti a sé è l’associazione che si prende cura dei senzatetto.
A Salinas, capitale di una delle zone agricole più floride degli Stati Uniti che vale all’incirca 8 miliardi di dollari all’anno, gli homeless sono migliaia. Alcuni si accampano in un quartiere adiacente alla ferrovia con tende e strutture di fortuna, altri - come la famiglia di Candido e Brenda - vivono in macchina, altri ancora sono in lista d’attesa affinché venga loro assegnato un posto in un rifugio.
La maggior parte di loro ha un impiego; la maggior parte dei loro bambini frequenta la scuola.
E meno male: nella zona della Monterey Bay i bambini senzatetto sono circa 8000, più delle città di San Francisco e San José messe insieme. La scuola permette loro di mangiare almeno un pasto caldo al giorno e di non stare per strada. Eppure è proprio a scuola che le cose per Candido e Brenda si aggravano: uno dei loro bambini, Josephat, che ha un ritardo dello sviluppo e non riesce a interagire con i compagni come vorrebbe, comincia a diventare violento e la scuola è costretta a chiamare i genitori. Brenda però non ce la fa: i suoi attacchi di panico, da quando la famiglia non ha più una casa, sono aumentati e le è impossibile non sentirsi travolta dal dolore che la condizione precaria della loro vita causa nel figlio. I suoi episodi violenti altro non sono che modi per sfogare l’incertezza, l’umiliazione, la paura che una vita da “nomade” provoca in un essere umano. Per di più così giovane.
Non importa quanto duramente lavorino e quanti sacrifici facciano, la crisi delle case unita alla minaccia della deportazione ha reso il sogno americano una cosa sciocca in cui quasi ci si vergogna di aver creduto e la dignità, il decoro della propria esistenza l’ultima cosa da difendere.
Dal 2014 al 2019 l’aumento degli affitti nella zona della Monterey Bay ha conosciuto un incremento del 60%, il quadruplo della media nazionale. Permettersi un appartamento con due camere da letto a Salinas è diventato più difficile che a Chicago e a Miami: il salario minimo dei braccianti e dei lavoratori agricoli è quasi il doppio di quello nazionale, eppure questo non permette loro di poter affittare o comprare una casa. A possederla, anno dopo anno, sono sempre di più le persone che arrivano dalla Bay Area (San Francisco, San José, Silicon Valley), a loro volta alla ricerca di un costo della vita più basso.
La Valle che nutre la nazione non può, così, nutrire chi la lavora. E se questo paradosso oggi si acuisce a causa della cosiddetta housing crisis, il paradosso più grande affonda le sue radici molto, molto più indietro nel tempo: per essere la terra delle grandi opportunità, per essere uno dei posti più ricchi e dorati del mondo, la California sembra costretta a dar vita, al suo interno, a un contraltare miserabile e indegno. Quella ricchezza (materiale ma anche ideale, narrativa, culturale) non può esistere senza qualcuno che ne paghi le spese.
Non c’è da stupirsi se a mettere in luce questo paradosso fu John Steinbeck, originario proprio di Salinas, già nel 1936: incaricato dal San Francisco News di documentare la vita dei lavoratori immigrati della Central Valley in California, prima ancora di scrivere Furore (il romanzo sarebbe uscito nel 1939), Steinbeck documentò in prima persona la vita nomade e poverissima dei braccianti e la ritrasse in 7 articoli lunghi, oggi raccolti in un volume intitolato proprio I nomadi (in italiano per Il Saggiatore) e The Harvest Gypsies in americano.
Leggerlo proprio a Salinas dove mi trovo ora, attraversando le stesse zone e registrando la stessa disuguaglianza, è piuttosto scioccante: è cambiata la provenienza degli immigrati (quelli raccontati da Steinbeck arrivavano dalle zone centrali degli Stati Uniti, colpite implacabilmente dalla Grande Depressione e dalla siccità, mentre quelli che lavorano la terra oggi provengono soprattutto dal Messico e dal Sud America), ma non sono cambiate le dinamiche dell’agricoltura (oggi si producono soprattutto lattuga, cavolfiore, uva, sedano, broccoli e fragole, tutti frutti che necessitano una forza lavoro ingente nei periodi del raccolto ma che obbligano i braccianti a spostarsi nei periodi di semina) e, purtroppo, non sono cambiate le condizioni in cui queste persone vivono e lavorano.
Se nei suoi articoli Steinbeck intimava già allora al governo della California di smetterla di affermare i propri valori democratici (è incredibile, viaggiando in queste zone e osservando così tanta miseria sociale e umana, non scontrarsi con il fatto che la California è uno dei luoghi più di sinistra d’America), sui braccianti immigrati scriveva parole purtroppo attualissime: c’è bisogno di loro ma li si odia. Li si odia perché sono persone sporche e ignoranti, li si odia perché portano malattie, li si odia perché fanno aumentare il lavoro delle forze dell’ordine e le tasse. Li si accoglie in una comunità ma non nella vita della comunità. Ed è così che restano vagabondi: non gli è permesso di sentirsi a casa nelle società che dipendono dal loro lavoro e dalla loro esistenza.
Grazie per avermi seguita fin qui oggi, ci risentiamo l’ultima domenica di dicembre, il 26, questa volta dall’Italia. So che in questi due mesi trascorsi negli Stati Uniti ti ho raccontato due storie piuttosto problematiche e ben poco entusiasmanti. Non era il caso di fare diversamente, secondo me. New York e la California sono anche questo. Chissà cosa ci porterà il prossimo mese, lo scopriremo. A presto!
[La storia di Candido e Brenda è stata tratta da questo articolo de The California Sunday Magazine]
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